La prima polemica dell’estate è, in fondo, coerente con le vacanze per molti imminenti. Potremmo chiamarla balillagate, o calcinopoli: dallo scorso 1 giugno i locali pubblici che possiedono i biliardini – e flipper e pure carambole, biliardi, ping pong, freccette – rischiano una sanzione pecuniaria, anche di 4 mila euro, se non hanno ottenuto il nulla osta di messa in esercizio, equiparando in questo caso la disciplina con quella dei videopoker. Non nel senso che i giochi e le conseguenze dell’abuso siano assimilabili ma, come ha spiegato su Facebook l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli in un burocratese social, “dando semplicemente attuazione ad una norma di legge dell’anno 2012 (...) che produce l’assoggettamento di tali apparecchi a obblighi di certificazione e di rilascio di titoli autorizzatori”, che poi significa dover chiedere una omologazione, anche attraverso autocertificazione. Autorizzazione necessaria per l’adozione di “regole e tecniche amministrative”, che poi gratta gratta (ma senza vincere niente) significa burocrazia e fisco. I biliardini non rischiano di scomparire sulle spiagge e nei bar, anche se chi non ha chiesto l’autorizzazione potrebbe non renderli fruibili per un po’, ma la già scarsa fiducia di gestori ed esercenti sì, ammesso che ne sia rimasta.
Perché poi il calciobalilla è gioco, socialità, specificità culturale – calcino, balilla, calcetto, biliardino, pincarello: nomi e regole di gioco diverse a seconda del territorio – e anche solo pensare, pure in punta di polemica, che possa accostarsi nel testo di una norma ai videopoker dovrebbe dirla lunga. Una questione di immagine proiettata, perché “mettere i calcetti in qualche modo sullo stesso piano delle macchinette è assurdo”, racconta Massimo Caruso, 32 anni, torinese, fuoriclasse del calciobalilla (otto titoli italiani e un argento mondiale) che, a casa sua, è di famiglia: “Io gioco ad alti livelli da quando avevo 14 anni, mio fratello Ciro – che, quando ero piccolo, mi portava con sé a giocare – è nel campo del noleggio, quindi di queste nuove regole sulle omologazioni di ogni singolo calcetto eravamo a conoscenza. Ma è proprio l’accostamento che non ha senso”.
Cos’è il biliardino per lei?
Il calcetto a me ha permesso di girare l’Italia, di conoscere persone, di fare amicizie. Ma è un discorso che non vale solo per me: è un gioco coinvolgente, fa gruppo, permette di svagarsi divertendosi con altri. Fa parte della nostra tradizione.
Sale giochi, spiaggia, oratorio, bar, pure sul lavoro. Il calciobalilla è ovunque.
Sì, e giocano tutti. Prima della pandemia mi è capitato spesso di essere coinvolto da alcune aziende che invitavano i dipendenti a sfidarmi, mettendo in palio per loro dei premi per chi fosse riuscito a battermi o a segnarmi più gol.
Per lei è mai stato un lavoro?
No, non ci si arricchisce, è uno sport povero, purtroppo è poco televisivo e in questo senso anche per gli sponsor è difficile avvicinarsi perché non dà visibilità. Ho giocato in tutta Italia, viaggiando spesso la notte, perché la passione è forte. Sono andato anche all’estero, ma alla fine andare sempre ai Mondiali, per dire, è costoso se non sei ricco di famiglia.
Perché è poco televisivo?
Perché è statico e non è di facile comprensione. Pensi al biliardo: anche lì sono fermi, ma prima tira uno, poi l’altro. Se uno degli sfidanti fa un tiro alla perfezione, diciamo filotto e messa, lo spettatore lo percepisce. Nel calcetto no: io posso anche fare il tiro perfetto, ma il mio avversario lo può parare e non fa effetto: c’è un altro livello di pensiero, unito alla rapidità di esecuzione, difficile da comprendere con una telecamera puntata.
Da pochi mesi il biliardino, a conferma della sua storia popolare, è entrato nella Figest, Federazione italiana Giochi e Sport tradizionali, una Disciplina associata al Coni.
Io mi ci sono avvicinato da piccolo come ad altre discipline tradizionali, anche gli scacchi e il ping pong, giocando con altri ragazzini in estate, in vacanza, in colonia. Ero portato, ho iniziato a frequentare i circoli federali e per anni mi sono allenato quotidianamente almeno due ore al giorno.
Ci si allena da soli o con uno sparring?
Da soli, e si allena il controllo palla soprattutto, poi alcuni tiri particolari. Ma bisogna tenere presente che il gioco italiano è diverso da quello europeo.
In che senso?
Da noi il gancio è vietato, nel resto del mondo è valido. Secondo me il gioco all’italiana è il migliore e il più difficile: c’è più dinamismo, la velocità è maggiore ed è più adrenalinico, si usano molto le sponde, mentre lo speedball, quello più diffuso a livello internazionale, spesso ricorre allo snake, il tiro più classico, semplice ed efficace. Poi anche in Italia, a seconda dei tornei e delle regioni, si predilige il gioco a due, tre o cinque tocchi.
La sua vittoria più amata?
Quando non ho vinto. Nel 2015 a Torino si sono svolti i Mondiali e sono arrivato al secondo posto nel singolo, perdendo solo in finale contro un avversario aistriaco: una grandissima soddisfazione, considerando che a quel gioco non ero abituato.
Nel doppio?
Di solito il mio socio è Simone Russo, un ragazzo di Sanremo. Ma non esistono coppie sempre fisse.
Rossi o blu?
Non ha importanza, ma il campo è importante: può esserci una pendenza, una pecca, magari una stecca un po’ piegata. Nei tornei vi sono regole per neutralizzare questo eventuale vantaggio.
E i biliardini in schema 3-3-4?
Ogni volta che vedo qualcosa di diverso lo voglio provare, sono curioso, mi si illuminano gli occhi. Li ho provati, così come ho giocato anche su biliardini fatti interamente di cartone, delicati ma bellissimi. Non ci si stanca mai.