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No, Lele Adani non porta sfiga: è la Nazionale di Mancini che fa pena

  • di Lorenzo Longhi Lorenzo Longhi

16 giugno 2022

No, Lele Adani non porta sfiga: è la Nazionale di Mancini che fa pena
Proseguono le figuracce della Nazionale dopo la vittoria degli Europei. E sui social c’è chi ha trovato il colpevole. Mancini? I giocatori, a partire da Donnarumma? No, Lele Adani, che da qualche tempo commenta l’Italia sulla Rai. Per molti, oltre a “non capire di calcio”, Adani porta sfiga. Accuse che si commenterebbero da sole, ma…

di Lorenzo Longhi Lorenzo Longhi

Eccolo qua, scovato il mistero, il popolo dei social ha deciso. Se la Nazionale negli ultimi dieci mesi ha collezionato figuracce epocali no, non è il risultato di un movimento che ha prodotto il quasi nulla elevato alla potenza: la colpa è di Daniele Adani. È di Lele Adani perché da quando è in Rai porta sfiga.

Tre indizi fanno una prova, e i tre indizi chi Adani non lo sopporta li ha già trovati: la grave eliminazione dal playoff per i Mondiali contro la Macedonia a Palermo, restando fuori dai giochi come in era Ventura, il sonoro 3-0 subito dall’Italia a Wembley nella Finalissima contro l’Argentina, l’umiliante cinquina subita martedì sera dalla Germania a Moenchengladbach, e cinque gol tutti in una volta l’Italia non li incassava da più di settant’anni. Tutti con Adani in cabina di commento o primo opinionista Rai. Ragionamento semplice semplice: se un anno fa l’Italia di Mancini – meritatamente ma per tutta una incredibile serie di situazioni in cui è andato tutto per il verso giusto – ha trionfato all’Europeo riempiendo le piazze e i bicchieri di birra di Barella e compagni con i commenti e le opinioni Rai di Antonio Di Gennaro, Claudio Marchisio, Marco Tardelli, Luca Toni, Milena Bertolini, vari ed eventuali, tutto torna. Chiaro, no? Adani porta sfiga, è evidente.

Lele Adani al commento dell'Italia in Rai
Lele Adani durante il commento di Germania-Italia (5-2)

C’è poi una seconda corrente di pensiero: Adani non è adatto, non capisce di calcio, è stato un difensore non esattamente di gioco educato e, pertanto, che vuoi che ne sappia? Siamo già un passo avanti nello stadio evolutivo: dalla superstizione all’effetto Dunning-Kruger, perché è vero che siamo tutti criticabili nel merito di ciò che facciamo e che il calcio è sufficientemente democratico per dare voce a chiunque, ma insomma, che uno valga uno è un’emerita idiozia anche quando si parla di gioco, pallone, calciatori. Ma questi siamo: passato il periodo dei virologi, mentre l’estate rende meno cool essere esperti di geopolitica, il calcio è esattamente ciò che serve.

Lele Adani fotografato per MOW
Lele Adani fotografato per MOW Ray Banhoff

Ma Adani – pur estremamente indulgente con Mancini, che fa con quel che c’è e che può ma pare incriticabile per via del “percorso”, e occhio alla parola: ci torneremo – non ha bisogno alcuno di essere difeso. L’accusa di portare male si commenta da sola, quella di non capire di calcio è formidabile per la totale assenza di basi nell’argomentazione, a maggior ragione se si considera che, per un buon quinquennio, nel banalissimo e pallosissimo contesto dell’opinionismo calcistico è stato lui a portare una rivoluzione fatta di conoscenza, competenza e argomenti che l’hanno fatto apprezzare pressoché all’unanimità da un pubblico non vasto ma sicuramente di spessore. Il problema è venuto dopo, ed è l’ingresso negli stilemi della comunicazione divisiva che ora tanto funziona: l’atteggiamento ieratico (possibile però solo quando esiste una folla di potenziali adepti, e nel caso c’era, eccome), l’accentuazione della contrapposizione tra la modernità, la sua, e il paleocalcio, il manto di sacralità su opinioni, le sue, ammantate di filosofia, l’utilizzo parossistico di termini profondi – idea, proposta, percorso – ma ormai deprivati di significato perché abusati, uniformi uniformate per follower e fedeli. Che poi non sia così nemmeno importa: l’immagine proiettata quella è, e del resto follower e fedeli sono la sua fortuna, ma anche il suo limite, come accade a chi (e in questo senso l’approdo in Rai è stata una scelta azzeccatissima) è riuscito a entrare prepotentemente nell’immaginario collettivo tracciando una riga, di qua o di là. E così ecco la Nazionale che, all’unisono, per il commento Rai non perde, ma impara, mentre il pubblico televisivo brucia come un falò. Ecco, magari fosse vero, perché l’Italia ultimamente perde e anche male, ma sul fatto che impari sul serio – si veda la smemorata arroganza di Donnarumma alla fine – è lecito avere più di qualche dubbio.

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