Lo guardi, Charles Leclerc, e ti chiedi come faccia a rimanere ancorato alle responsabilità gigantesche che pesano addosso ai suoi 25 anni ancora da compiere. Lo guardi rispondere alle critiche, alle interviste, alle lodi e all'amore intermittente dei tifosi e ti chiedi se si renda conto, anche solo in parte, di che cosa è diventato per un paese, per uno sport e per una scuderia come la Ferrari. Simbolo di una generazione di cambiamento per la Formula 1, pupillo prediletto di una squadra che su di lui ha investito tanto, tutto, che si aspetta di incoronarlo Re di Maranello, dopo un digiuno di quindici anni.
Lo guardi, questo ragazzo tutto occhi e nervi, e ti chiedi se la pressione lo abbia cambiato, indurito, o se sia stata la vita a fargli questo effetto. In un recente micro-documentario dedicato all'infanzia dei piloti il monegasco ha detto di aver sempre avuto problemi di autostima: motore del suo desiderio di fare sempre e comunque meglio degli altri e di sé stesso ma anche, allo stesso tempo, domanda da infliggersi davanti ad ogni errore. "Sarò abbastanza bravo?", "ho quello che serve per diventare campione del mondo con la Ferrari?".
Ma ci ha pensato la vita a dare a Leclerc una prospettiva per accettare tutto il resto. Non è stata l'esperienza a permettergli di trovare forma e dimensione per conservare, nutrire e dimenticare ogni successo e ogni sconfitta, ma è stato quello che gli è capitato fuori dalla pista. E proprio in Francia, terra dove il suo amore per i motori è iniziato tra le curve del circuito di kart di Brignoles, Charles ha deciso di scriversi addosso il ricordo di chi e che cosa lo ha portato ad essere il pilota di punta della scuderia dei suoi sogni e che cosa lo ha trasformato, negli anni, nel ragazzo di oggi.
Sul casco speciale realizzato per il weekend di Le Castellet, Leclerc ha riportato in vita le immagini più significative di un'infanzia felice, costellata dall'amore di chi lo ha spinto a diventare pilota, costruendo giorno per giorno un sogno condiviso. C'è l'abbraccio di papà Hervé, sul casco di Charles, un padre che ha salutato nel 2017 e che non lo ha visto vincere il titolo di Formula 2 in quella stagione, passare in Formula 1, firmare un contratto con Ferrari e vincere le sue prime gare in rosso. Un padre a cui Charles ha mentito, pochi giorni prima della sua morte, dicendogli che quel sogno, quello di correre con la Ferrari in Formula 1, si era realizzato. "Volevo vederlo felice, quando poi ho davvero firmato con Ferrari ho capito che quel giorno non gli avevo mentito" ha rivelato in là con gli anni, quando il dolore aveva preso ormai la forma concreta della consapevolezza.
Un'incudine, un peso che non se ne va. Ma che cambia con il tempo e assume, a seconda del modo in cui ti finisce addosso, le sembianze più disparate. Una scheggia nel cuore di un ragazzo che si è sommata a quella della morte di Jules Bianchi, altro ricordo presente sul casco speciale portato in Francia da Leclerc. E c'è anche papà Philippe nel paddock del Paul Ricard, a fare il tifo per quel figlioccio che adora, quel ragazzo monegasco che ha cresciuto come un figlio minore, affidandogli il suo Jules come mentore e fratello. Lui, papà Bianchi, che su quel circuito di Brignoles ha portato in pista Charles per la prima volta, regalandogli un sogno prima di chiunque altro.
C'è tutto questo, nella pole position del Gran Premio di Francia conquistata dal monegasco al Paul Ricard. C'è un ricordo, un bisogno di dire grazie, un dolore e una consapevolezza. C'è il Leclerc di ieri e quello di oggi, il suo passato e il suo destino. C'è il sogno, sempre quello, che unisce le immagini di chi era all'obiettivo di chi è, di che cosa vuole e di chi sempre sarà. Un bambino cullato dall'amore per la velocità, cresciuto tra i roghi delle difficoltà che l'hanno reso Charles Leclerc.