L’associazione tra il nome Michael Schumacher e Formula 1 è praticamente immediata per milioni di persone. Il pilota più apprezzato della storia del mondiale, che al debutto a Spa Francorchamps è riuscito ad incantare tutti quanti e poi, dopo qualche anno, a riportare la Scuderia Ferrari sul tetto più alto del mondo. La collaborazione tra il tedesco e Maranello viene ricordata come il matrimonio più invidiato della Formula 1, e si porta con sé forse la parte più preziosa della storia della Ferrari. In pochi sanno però che poco prima di prendere il volante della Benetton in Belgio, un giovanissimo Michael Schumacher correva sulle piste che ospitavano il Campionato del Mondo Sport Prototipi dove, insieme alla Sauber Mercedes, stava capitalizzando un bel mucchio di risultati straordinari.
Il WEC di quegli anni, se così si può chiamare, era a dir poco caotico: le regole cambiavano spesso, le classi delle vetture erano ben diverse da quelle che ci sono adesso ma l’azione in pista era da pelle d’oca continua. Il giovane Schumacher corse lì metà stagione del 1990 per diventare poi pilota a tempo pieno nel '91, correndo comunque in contemporanea in Formula 3, dove tra l’altro si laureò campione. Nel 1990, Peter Sauber volse schierare una vettura capitanata da Jochen Mass, che sarebbe stato affiancato a rotazione dai tre contendenti al titolo di Formula 3, quindi Schumacher, Frentzen e Wendlinger, creando una sorta di junior team della Mercedes. Michael partecipò a quattro gare e, nonostante il primo approccio a quel tipo di vettura e l’elevata competitività del mondiale, arrivò alla vittoria della 480km del Messico, l’ultima tappa di quell’anno, dimostrando già un gran passo. L’anno dopo il tedesco venne confermato al volante della vettura insieme a Karl Wendlinger e partecipò alla fatidica 24h di Le Mans da vero e proprio protagonista.
Il 1991 fu un anno di cambiamenti chiave per il campionato, che vide l’entrata di una nuova tipologia di vetture con un motore da 3,5 litri di derivazione Formula 1. La FIA, con la spinta di Bernie Ecclestone, credeva parecchio in questa innovazione che poteva portare più costruttori in Formula 1, ma in pochi aderirono per gli alti costi e le complicazioni tecniche che ne derivavano. Quindi a Le Mans vennero ammessi anche i prototipi di vecchia generazione ma con la regola principale che avrebbe visto le vetture nuove, davanti alle vecchie, indipendentemente dai risultati di qualifica. La Mercedes decise di far correre Schumacher e Wendlinger con il vecchio prototipo, visti i continui problemi riscontrati con la 291, che avrebbe dovuto essere un portento ma che in realtà molto spesso incontrò grossi ostacoli che non gli permisero di finire parecchie gare. Schumacher, al tempo ventiduenne, siglò il giro più veloce in qualifica, ottenendo di fatto la pole position che però fu vana, visto il regolamento che vedeva le vetture nuove davanti a quelle vecchie indipendentemente dal risultato.
Nonostante ciò, la 24h di Michael fu una vera e propria dichiarazione di talento, che catturò gli occhi di parecchi team manager e responsabili di programmi prestigiosi sia nell’endurance che in Formula 1, dove infatti si ritrovò solo pochi mesi dopo. Le Mans è una delle poche gare iconiche che non può vantare Michael Schumacher tra i suoi vincitori, visto il quinto posto registrato in quell’occasione dal tedesco, ma può raccontare di lui in una delle edizioni più incredibili della storia. Il Kaiser una volta approdato in Formula 1 salutò il mondo endurance, chissà se con il desiderio di ritornarci una volta terminata la sua carriera in monoposto, ma lasciando l’ennesima prova di coraggio e onore scritta sui circuiti più frequentati da quel mondo.
A dieci anni dal suo incidente sulle montagne francesi il ricordo di Michael Schumacher non si spegne, anzi, è sempre più celebrato e ammirato grazie all’eredità che lui stesso ha lasciato a questo sport. Al via della prossima 24h di Le Mans non ci sarà Michael, ma suo figlio Mick, che ha cresciuto a bordo pista per trasmettergli ogni grammo della sua passione, ad oggi pilota ufficiale di Alpine nel WEC. Dopo una breve ma intensa carriera in Formula 1, dove non è riuscito a capitalizzare niente di che, Mick si trova davanti ad un’altra incredibile sfida che a giugno lo vedrà sulla griglia del circuito de La Sarthe per la 101ª edizione della 24h.
È un cognome importante quello di Mick, non solo nel motorsport ma in tutto il mondo. Un cognome che appena nominato ricorda subito delle grandi imprese di Michael in pista, come se ci fosse una campanella stridula che immediatamente suona nella testa di ogni appassionato. Un cognome che lo ha visto spesso giudicato più di quanto meritasse, nel bene e nel male, in paragone con il papà. Un papà che Mick porta sempre nell’abitacolo con sé, con i consigli e le perle dei tempi del kart e le storie mai raccontate che lo legano a lui. Una storia che però si legge tra le righe, o meglio, tra le curve che Mick Schumacher percorre una volta tirata giù la visiera, e che potrà ancora scrivere sulla griglia del WEC. E per quanto un po’ strappi il cuore, il debutto di Mick nell’endurance ricorda ancora una volta le grandi imprese del suo papà Michael, che tanta eredità lascia in Formula 1, ma tanta anche a Le Mans. Una pole mai convertita in vittoria per un regolamento insolito, una storia incompleta, ma che Mick potrebbe finire di raccontare alla prossima 24h di Le Mans.