Se scrivi Joost Rijnbeek su di un qualunque motore di ricerca, il primo risultato è una pagina LinkedIn che recita Head of Global Network & Business Development at Ducati Motor Holding. Olandese, 44 anni, una delle posizioni più prestigiose all’interno dell’azienda bolognese. Poi ci sono gli articoli di cronaca: uno comparso su Il Resto del Carlino, in particolare, datato 27 marzo 2024, è titolato: “Io, salvato dai medici. Ora faccio il volontario e porto i pasti in geriatria”. Potrebbe sembrare la narrazione del genio del sales, venuto dal nord per dirigere enormi flussi di denaro e insegnare a noi trogloditi la vita del nuovo millennio. Forse è così. Sta di fatto che altre storie su Joost Rijnbeek sono più serie: Repubblica titola “Io, manager ho deciso di rompere il tabù: sono sieropositivo ora basta pregiudizi”. Corriere della Sera propone qualcosa di simile: “Il manager della Ducati dopo 10 anni rompe il tabù: ‘Sono sieropositivo, oggi non si sa molto di Hiv e Aids ma le cure sono molto avanzate’”. La prima cosa che pensi, leggendo questi titoli, è che il pinnacolo della stampa italiana potrebbe rompere questo tabù dei modi di dire anni Novanta, che sono invecchiati molto in un mondo nuovo, più diretto, diverso. Esattamente come l’Hiv. Che poi è la seconda cosa che pensi leggendo questi titoli.
La storia di Joost Rijnbeek sta girando in questi giorni in seguito alla giornata mondiale contro l’Aids, che si è svolta lo scorso primo dicembre, proprio mentre Ducati festeggiava la sua stagione 2024. Lì, il manager di Borgo Panigale ha confessato la sua lunga storia con il virus: “È difficilissimo tenere un segreto, non dire mai le cose fino in fondo”, ha raccontato a Federica Nannetti sul Corriere. "Magari prendere una pastiglia e doverlo fare di nascosto, o senza dire la verità. Ma da quando ho deciso di raccontare tutta la mia storia sono stato travolto di messaggi, pensieri, abbracci. Segno che forse sono arrivato dove volevo arrivare”.
Rijnbeek sottolinea quanto sia importante aprire un dialogo sull’Hiv, soprattutto per combattere i pregiudizi che ancora circondano la malattia: “Anche persone molto giovani mi hanno detto e hanno riconosciuto di non sapere molto dell’Hiv e dell’Aids, delle cure, della prevenzione, dei test. L’importante è proprio che se ne parli, magari anche in famiglia tra genitori e figli, così da iniziare a superare quello stigma che ancora c’è.”
I dati della Regione Emilia-Romagna raccontano che dal 2006 al 2023 i nuovi casi di Hiv sono diminuiti del 40%, ma il problema resta attuale, con un incremento delle diagnosi tardive. La consapevolezza, secondo Rijnbeek, è assolutamente fondamentale, che poi è il principale motivo per cui ha deciso di esporsi: “Negli anni le cure si sono molto evolute. Un mio amico storico, di New York, ci convive da 30 anni e inizialmente doveva sopportare pesanti effetti collaterali. Io invece non ho mai sperimentato nulla di tutto ciò: ho iniziato con le pastiglie, che sono andate diminuendo nel numero con il tempo, e ora seguo la terapia con le iniezioni ogni due mesi. Una terapia che tiene sotto controllo il virus; già da anni ho la viremia azzerata. Non sono cioè contagioso, e sapere di arrivare a questa possibilità è importante anche per gli altri e per la loro cura. Penso che nell’immaginario ci sia ancora molto l’idea di una volta, legata anche alla paura. Riuscire ad aprirsi credo sia importante, anche perché non si sta bene a tenere tutto dentro, a tenere un segreto a lungo. Tuttavia, è una scelta assolutamente personale”.
Non sono più gli anni Novanta, quelli in cui si scriveva tabù e c’erano le pubblicità progresso con l’alone viola, così martellanti che a Roma c’è chi il virus lo chiama violone. Ora che l’Hiv è meno pericoloso, per nulla letale e addirittura non trasmissibile. Ecco perché parlarne, come ha fatto Joost Rijnbeek, diventa fondamentale.