Amor ch'Ibra ha amato, Ibra perdona. La verità è che la frase 'Ibra o lo ami o lo odi', è una grandissima cagata. Semplicemente nel suo caso non vale, non regge, non sta in piedi. Ibra lo ami e basta, e non amarlo significa non aver mai amato il calcio, anzi, il Calcio. Se non ami Ibra ti meriti Petagna. E lo ami anche fuori dal campo, perché è coatto, ingombrante, fastidioso ma bellissimo. Insomma è Ibra. È il cattivo perfetto per un film di James Bond, ma anche uno degli strani antieroi di Guy Ritchie, tra l'altro mi chiedo oramai da anni perché non venga convocato dall'industria cinematografica con costante frequenza, a parte quella gran minchiata di Asterix. C'è un però. Quando ha avallato la scelta di Fonseca, la mediocrità fatta allenatore, una sorta di Alessandro Greco del calcio, ci siamo tutti chiesti se avesse esaurito il suo tocco, il suo magico fluido, soprattutto quando settimana scorsa ci ha investito col suo già iconico “I'm the boss”, a fronte del quale un po' tutti siamo rimasti sgomenti, senza protestare ovviamente, perché Ibra ti vede, ti raggiunge e ti gonfia anche se non ti conosce. E poi? E poi è arrivato il derby, e tutto è stato chiaro. Chiaro come che Ibra ha sempre ragione, ha la “luccicanza”, vede in anticipo, come quando giocava, e che sopravvive anche alla guerra atomica, alla terza, quella che sta arrivando.
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