Quest’anno non ci sarà il pellegrinaggio dei tifosi con i cappellini e le bandiere colorate, le tende, le grigliate e vecchi motori nascosti nel retro del furgone per fare festa tutta la notte, ma il Mugello resta il Mugello. L’appuntamento dell’anno, dove bisogna far bene. Lo sanno bene i pilotini della Moto3, i più esperti della Moto2 e infine l’Olimpo della MotoGP con gli italiani che sognano di vincere al Mugello.
L’assenza di pubblico e il clima post-pandemia sembrano aver smorzato un po’ la voglia di far festa degli azzurri, tanto che, racconta Aldo Drudi, solo Valentino Rossi, tra i suoi piloti, non ha rinunciato ad un casco speciale per l’occasione. Come da tradizione. Eterno Peter Pan, l’immenso Rossi continua a guardare avanti. A sognare. E noi con lui. E se al Mugello il Doctor facesse come Marcellino Lucchi che vinse il Gran Premio d’Italia a 41 anni? Vi ricordate le lacrime di un brizzolato signore di 41 anni?
Per tutti i piloti era “nonno Lucchi”, ma quella domenica di maggio del 1998 da collaudatore Aprilia mise in riga tutti, precedendo lo stesso Valentino Rossi (allora 19enne), Tetsuya Harada e Loris Capirossi, i piloti ufficiali della Casa di Noale. Un'impresa epica.
“La mia è una storia semplice”, racconta Marcellino, che oggi ha un negozio di bici a Cesena, “narra di un uomo che ha vissuto con una grande passione. Le moto non hanno cambiato la mia vita: l'hanno fatta, dall'inizio alla fine. Posso dirmi un uomo felice”. La mente torna a quella calda domenica di maggio. “Ricordo il giro d’onore con la bandiera italiana. Ridevo e piangevo. Avevo vinto. Io che su quella pista avevo scavato un solco, a furia di girare, girare, girare...conoscevo ogni sfumatura dell’asfalto, ogni ciuffo d’erba”.
Marcellino era il collaudatore dell'Aprilia e per anni ha sviluppato le moto per Max Biaggi, per Harada e Capirossi, Valentino Rossi e Marco Melandri. “Se non fosse stato per i commissari che si strinsero a me proteggendomi, i tifosi mi avrebbero spogliato. Nel giro d’onore fui sommerso dalla folla. Ma sì, avevo vinto anche per loro, soprattutto per loro”.
Sulla pista toscana, Marcellino aveva percorso qualcosa come centomila chilometri e quel giorno vinse il suo primo GP. “I test erano le mie corse in solitaria, senza spettatori: la moto, io, il cronometro e il silenzio. Avevo due obiettivi: sviluppare la moto e migliorarmi ogni volta, per farmi trovare pronto in caso di una wild card. Così la gioia per la vittoria è stata immensa. Il Mugello è una famiglia per me perché ero di casa e conoscevo tutti. Avevo vinto per i commissari e tutti gli over. A quel tempo un quarantenne era considerato vecchio, invece io ho dimostrato che si poteva vincere ancora. E non necessariamente con la migliore moto, ma dando il massimo con il mezzo a disposizione”.
Nella foto di rito sul podio, Marcellino sorridente abbraccia il simpaticissimo Tetsuya Harada e un giovanissimo Valentino Rossi. “Quel giorno Rossi aveva il muso perché non ci stava ad aver perso da un vecchietto come me. Sono sempre andato d’accordo con tutti, ma Rossi e Melandri soffrivano un po’ del fatto che qualche volta potessi stare davanti. D’altronde avevo l’età di Dino, il papà di Marco, e anche Graziano era poco più grande di me”. Ma era soprattutto a Biaggi che bruciava. “Max lo conosciamo tutti. Come pilota, chapeau, anche perché quando ha iniziato nell’Europeo ha corso nel mio team, quello di Fabrizio Guidotti, per cui avevo visto subito che aveva una marcia in più, ma umanamente qualche battuta poteva risparmiarsela. Ricordo ancora quando lo superai sempre al Mugello nel 1997. Gli feci il segno 4 con le dita, come dire: 40 anni e ti sono davanti. Poi vinse lui, però fu una soddisfazione enorme. Perché mi chiamavano nonno, ma io non ero vecchio, ero esperto”.
Mai stato geloso dei piloti a cui preparavi le moto? “Mai. Sono stato contento della carriera dei ragazzi. Mi dispiace solo che nessuno abbia creduto in me quando avevo 21 anni. Ma è andata così. Era scritto che dovessi aspettare. A 13 anni mio padre mi vietò di salire sulle moto, fui costretto a rimandare quel momento fino al raggiungimento della maggiore età. E pensare che ho ereditato la passione proprio da mio papà, che aveva un’officina di moto”.
Pilota semplice, Marcellino ha fatto il netturbino per 14 anni. Solo nel 1998, l’anno della vittoria del Mugello, aveva lasciato l’incarico al Comune di Cesena per dedicarsi completamente al lavoro di collaudatore.
“Non rimpiango niente, neanche gli anni da netturbino, uno stipendio sicuro. Non sono mai stato geloso o invidioso e ancora oggi sono rimasto amico di tutti. Al Mugello torno sempre volentieri e anche domenica seguirò la MotoGP”.
Come è la MotoGP moderna secondo Marcellino? “Sono contento del progresso dell’Aprilia. Ricordo ancora i primi metri sulla RS Cube e quel volo al Mugello quando mi sbalzò a terra. Era una moto difficile da guidare. Un progetto ambizioso e Noale pagò lo scotto di voler fare tutto in casa quando mancava l’esperienza. Il campionato 2021? Senza Marc, che ha dominato gli ultimi anni e prima di lui Valentino, non si capisce se tutti sono diventati forti, quanto siano le moto ad essere equilibrate, o se sono le gomme, comunque è un bello spettacolo e le corse sono avvincenti”.
E tornando alla favola. E se al Mugello domenica vincesse Valentino Rossi? “Sarei felicissimo. Ma sarà dura. Da fuori sembra un insieme di fattori: problemi con la moto, di feeling con il nuovo team e il fatto di non sentirsi più coccolato da Yamaha. Con tutto quello che ha vinto, Valentino non ha niente di dimostrare. Corre per il piacere di farlo e per rendere contento che gli sta intorno, a partire dalla squadra. Non sentirsi supportato a me farebbe scendere la catena. Penso sia lo stesso per lui. Vale era così anche quando arrivò in Aprilia a 18 anni. Correva per divertimento”.
Infine, il Mugello. Come descriverebbe Marcellino Lucchi il tracciato toscano? “Semplicemente con un cuore”.