Peggio della gara di Moto3, nella domenica del Qatar, c’è stata solo la MotoGP. Esito simile, storie (fortunatamente) molto diverse. La prima: Jaume Masia arriva a Lusail con un vantaggio di tredici punti su Ayumu Sasaki, sa di poter vincere il titolo già in Qatar. Il giapponese però è vicino, anzi forse più in forma dello spagnolo che è reduce da una visita nel box dalla direzione gara, la quale rimprovera il Team Leopard per aver messo Adrian Fernandez - compagno di squadra di Masià - in marcamento a uomo su Sasaki, che in gara parte qualche fila avanti a lui.
Essendo la Moto3 ed essendo Masià decisamente veloce questo non è un problema, i due si trovano a lottare per il podio già dalle prime fasi della gara. A quel punto lo spagnolo si produce in una manovra scorretta, brutta, portando il rivale intenzionalmente fuori per fargli perdere posizioni. Ayumu però non lo accetta, torna davanti. Masià, per niente intimorito, ripropone la stessa manovra, obbligando il pilota Husqvarna a una lotta nel gruppo. Lì Sasaki ci trova Adrian Fernandez che fa l’impossibile per fermarlo, con dinamiche che ricordano il Marc Marquez del 2015 in Malesia. Ancora una volta il giapponese pensa solo alla sua gara, senza innervosirsi per recuperare l’impossibile. Nel frattempo però Jaume - a cui è stato dato un warning per le brutte manovre - si mette davanti e va a vincere gara e titolo.
Ora, probabilmente Masià il mondiale l’avrebbe vinto lo stesso, magari a Valencia. Di certo l’avrebbe vinto in un modo più bello da ricordare per il pubblico. In una MotoGP che punta tutto sullo spettacolo, storie come questa sono un problema più grande di quanto si possa immaginare.
Come è stato un problema la gomma di Jorge Martín nella gara della domenica. Lui ci si è trovato nel momento peggiore, a sette punti da Pecco Bagnaia e con una vittoria nella sprint del sabato a dargli confidenza. Poi il posteriore non ha lavorato come doveva, l’anteriore è crollato di conseguenza e Jorge Martín ha chiuso al decimo posto concedendo a Bagnaia 14 punti fondamentali per la lotta al mondiale. Anche in questo caso, probabilmente Pecco avrebbe vinto lo stesso: in queste situazioni è semplicemente il migliore a gestire lo stress di una gomma che non funziona o di un weekend cominciato male perché sa che i conti si fanno il lunedì mattina. Eppure, ancora una volta, è lo spettacolo a risentirne: nessuno, fatta forse esclusione per chi sulla moto di Bagnaia ci lavora, è contento di come siano andate le cose nella domenica del Qatar. L’esito del mondiale non c’entra nulla. Bagnaia non è Masià, ha corso sempre con grande correttezza e i problemi di Martín non sono da imputare alla Ducati, eppure dopo giorni (o forse settimane) di trailer, grafiche e articoli sulla lotta al mondiale ci aspettavamo qualcosa di meglio. Qualcosa di più vero.
Lo sport funziona perché a vincere è il migliore, che poi è il motivo per cui ci si augura che succeda. Quando le cose vanno diversamente, come nella domenica del Qatar, viene a mancare la certezza di fondo su cui lo sport stesso sta in piedi: c’è una sfida e sai che a vincerla sarà l’atleta più capace. Jorge Martín e Ayumu Sasaki questo privilegio non l’hanno avuto e noi che guardiamo le gare neanche. Quello che resta a loro è l’idea, forse un po’ lapalissiana, di non aver vinto ma neanche perso, perché il risultato è stato prodotto da terzi. A noi invece rimane l’impressione meno romantica di non aver visto una competizione sportiva ma uno spettacolo scritto da altri, un incontro di wrestling. Ed è sempre una brutta sensazione.