Febbraio del 2019. Jannik Sinner ha 17 anni, è una giovanissima promessa del Tennis italiano, ma il grande pubblico ancora non lo conosce. Ha appena vinto il suo primo Challenger del circuito ATP, a Bergamo. Nel giro di un paio di settimane incontrerà Carlos Alcaraz ad Alicante, e perderà in tre set. A maggio, dopo essersi fatto strada nel far west delle qualificazioni, giocherà le sue prime due partite in un Master 1000, a Roma. Sei mesi più tardi, sul cemento dell’Allianz Cloud di Milano, nello stesso campo in cui Roger Federer ottenne il suo primo titolo nel circuito, Sinner vincerà le Next Gen ATP Finals. Prima che tutto ciò si avveri, Jannik riceve una troupe di SuperTennis nel suo appartamento di Bordighera, dove si è trasferito da ormai tre anni. Dal momento in cui ha capito che, se da grande avesse voluto vivere di tennis, allora sarebbe stato costretto a separarsi da genitori, famiglia, affetti, casa e amici. Ovvero, da Sesto Pusteria.
Jannik scruta il panorama al di fuori della sua cameretta di Bordighera, vede colline lussureggianti, rivestite di olivi e serre. Ripensa all’eleganza composta ed essenziale delle sue montagne, le Dolomiti che si affacciano su San Candido, e un velo di malinconia appanna per un attimo il suo sguardo. Allora si siede sul letto ad una piazza, getta un’occhiata in direzione della scrivania, un tavolo che racchiude una visione d’insieme: “Qui a volte scrivo qualcosa dei miei allenamenti, ci sono anche dei libri di scuola, sono sotto i pacchi del tennis, sotto le corde (ride imbarazzato)”. Su quel ripiano è appoggiato un aggeggio, un trabiccolo, che serve ad incordare le racchette: “Ad un certo punto mi sono reso conto che spendevo un po’ troppi soldi per fami incordare le racchette dai professionisti, così ho guardato un po’ su internet e ho scelto questa macchina. Costa 800 euro, ma se incordi tutti i giorni due racchette, e ci vogliono solo venti minuti, alla fine della fiera spendi molto di meno. Basta fare così…”.
Nella camera di Sinner non ci sono poster, lui evita i fanatismi e non è superstizioso. Le pareti sono immacolate, l’unico ornamento è una maglietta altrettanto bianca, appesa in un angolino. “Life is simple: eat, sleep and play tennis” – recita la scritta incisa sul cotone. Jannik si allena all’Accademia di Riccardo Piatti, un minuto a piedi dal bilocale che divide con altri due ragazzi della sua età, che come lui – ogni giorno – giocano tre ore a tennis al mattino, prima di una lunga sessione in palestra al pomeriggio. Il tempo che avanza è dedicato allo studio. Jannik ha fatto elementari e medie in tedesco, ma quando si è trasferito nel ponente ligure ha cominciato le superiori, in italiano. All’inizio è stato complicato, estremamente faticoso – per Sinner – assimilare nuovi insegnamenti in una lingua diversa. Però si è messo sotto, ha lavorato – come sempre – e gli ostacoli se li è presto lasciati alle spalle.
Nell’inverno del 2019 gli obiettivi che Riccardo Piatti fissa per Sinner sono due: modificare il movimento del servizio (unendo i piedi) per aumentare la velocità della prima palla, e migliorare il tempismo dell’impatto sul dritto. Niente ferma Jannik, nemmeno una precedente frattura del polso sinistro: per tre mesi non ha potuto colpire con il suo rovescio bimane, ha giocato solo in back, senza mai lamentarsi. Sinner di base palleggia con i suoi coetanei, ma sempre più spesso fa da sparring partner a Borna Coric, Andreas Seppi e Fabio Fognini. A volte, quando a Montecarlo piove, nei campi coperti in cemento di Bordighera si presenta Djokovic. La superficie di Riccardo Piatti è propedeutica per gli Australian Open. Jannik si allena per la prima volta con Nole, riceve qualche consiglio, prima di scattare una foto ricordo a cavallo della rete.
Intanto Sinner, su esortazione di Piatti, cambia l’immagine profilo di Instagram, dove i followers sono 3148. Sceglie un selfie in compagnia di Federer, e gli chiedono se abbia condiviso il campo con Roger prima o dopo la vittoria del centesimo titolo ATP dello svizzero: “No no, l’ho proprio scaldato io per la finale di Dubai” - la sua risposta, soffocata in una fragorosa risata. Gradualmente Jannik si scioglie davanti alle telecamere, diventa leggero leggiadro e incisivo come le sue movenze con una racchetta in mano. Ammette di non essere molto social, preferisce guardare le foto degli altri piuttosto che pubblicare le sue. Preferisce il tennis allo sci, perché uno slalom gigante dura un paio di minuti e non puoi permetterti errori, mentre sul campo pianeggiante otto metri per ventitré puoi sbagliare e giocare molto di più. Preferisce la Coca-Cola allo Spritz in caso di aperitivo la domenica sera, nel centro di Bordighera.
Jannik Sinner è sempre stato così: ironico, sottile, appuntito e ricercato nelle dichiarazioni come le montagne e la volpe che ora porta sul suo logo. Freddo, inaccessibile e distante è stato dipinto dai media, dalla stampa, per un certo periodo di tempo. Perché non vinceva abbastanza, perché non urlava abbastanza. Adesso che ha conquistato il primo Slam, che ha battuto Djokovic agli Australian Open, che ha milioni di followers, milioni di euro di introiti dagli sponsor, adesso che vince dappertutto, viene trattato diversamente. In cinque anni, attorno a Jannik Sinner è cambiato tutto. È cambiata la sua popolarità, la percezione che il mondo ha di lui. Ha cambiato allenatori, residenza. Ha cambiato racchetta e abbigliamento tecnico. Gioca negli stadi e non più nei campi secondari, si cambia negli spogliatoi in cui possono accedere solamente i più forti.
Lui è rimasto lo stesso. Continua a preferire le cose più semplici e genuine, come una partita di burraco con Sonego al posto dell’attività social. Continua a lavorare umilmente ed inesorabilmente, come gli è stato insegnato. Decide, briga, va per la sua strada senza conformarsi alle usanze, come quando decise di incordarsi le racchette da solo. Difficilmente s’innervosisce, scherza quando entra in confidenza, comunica da veterano. Predilige giocare sotto al sole dell’Australia piuttosto che sciare a meno venti gradi in Val Pusteria. Sa di essere fortunato, di aver potuto scegliere. Mentre tutto intorno a Jannik Sinner cambia, lui mangia, dorme, gioca a tennis. È la sua reinterpretazione di mangia, prega, ama. E poi sorride. Perché è libero. Puro.