Il meglio non è alle spalle, c’è tutto un futuro là davanti, ma per Jannik Sinner sia il meglio che il peggio devono ancora venire. Per quello che è il più grande tennista italiano di tutti i tempi – sì, lo si può già dire – oggi l’infosfera si sdilinquisce in odi ed epinici, quelli degli specialisti e dei tuttologi, delle grandi penne e dei capiscer convinti che la luce riflessa doni loro un’aura irresistibile. Bello, bellissimo, perché a tutti gli effetti Sinner ha letteralmente riscritto la storia del tennis italiano. Bello, bellissimo, però anche piuttosto fasullo, in certi casi, perché occhio Jannik, qui nessuno ha alcunché da insegnarti, ma presto arriverà chi ha capito tutto meglio di te.
Non subito, non è il momento, questo. Ma accadrà non troppo in là col tempo. Magari non alla prima eliminazione inattesa, forse non alla seconda, ma oggi l’asticella delle aspettative di chi giudica senza avere mai fatto sport – e senza capire cosa significhi essere comunque lassù, nell’empireo – si è alzata a dismisura, e quando arriverà una semifinale o una finale persa contro un rivale di ranking e seeding inferiore inizieranno i dubbi. Marcell Jacobs, oro olimpico nei 100 metri piani – meglio riscriverlo: oro olimpico nei 100 metri piani, primo italiano di sempre, e in sovrannumero quel giorno record mondiale di specialità, e poi oro nella staffetta 4x100 – ne sa qualcosa, e come lui tutti coloro che, dopo avere ottenuto risultati formidabili, si sono visti etichettare come delusione un secondo o un terzo posto, un argento o un bronzo, e guai a finire giù dal podio o addirittura dietro, perché per quello i fuoriclasse del divano, i fenomeni del circoletto e i mejo fichi der bigoncio da padel club, hanno solo una parola: fallimento. È lo spirito del tempo, Jannik, che i social – e pure i giornalisti, eh – mica vivono di gesti bianchi, ma di qualche pallata tirata a casaccio sì, basta che faccia casino ed è un quindici assicurato.
Jannik è fiorito d’inverno, ma già prima dell’apoteosi avvenuta tra novembre 2023 e gennaio 2024 – prima insomma dei tre mesi che lo hanno consacrato, quelli nello specifico delle Atp Finals, della Davis e degli Australian Open – aveva dovuto fare buon viso al cattivo gioco di coloro che non vedevano l’ora di sparare sul predestinato perché – dicevano – non aveva ancora vinto poi ’sto granché, perché guarda Alcaraz che alla sua età bla bla bla e lui sì che è un fenomeno, perché vuoi mettere Zverev?, perché questo e perché quell’altro. E perché, essendosi permesso, da saggio gestore delle proprie forze, lui e i suoi tecnici, di saltare la tappa di Bologna della Coppa Davis, era diventato un “caso Nazionale” e si era dovuto sorbire articolesse e pistolotti moraleggianti perché sapesse, signora, mica è così che ci si comporta nella società perbene. Insomma: colpi bassi che Sinner ha incassato apparentemente senza farsene un problema, senza sbroccare nelle interviste, senza vendicarsi malmostosamente quando sono arrivati i risultati destinati a segnare un’epoca.
Sapeva, probabilmente, che avrebbe vinto lui, e quando lo ha fatto non ha perso tempo a seppellire i critici ma si è goduto rispetto e gloria. I precedenti, insomma, sono a suo favore, ma quelle erano le aspettative e le stilettate riservate al predestinato, d’ora in poi arriveranno i dardi scagliati nei confronti di uno che, avendo già vinto, non può permettersi di non vincere più. E tireranno fuori la residenza a Montecarlo, gli inevitabili gossip su questa o quella fidanzata e via andare, tutte cose già viste. Sotto, Sinner: è il tuo momento.