L’impossibile è successo a Melbourne, Jannik Sinner ha battuto Novak Djokovic, e domenica affronterà Daniil Medvedev, per vincere il primo slam della carriera. Inutile riportare tutti i record del serbo, li conoscete, sono impressionanti e tirarli fuori sarebbe un esercizio superfluo, che nulla aggiungerebbe alla descrizione dell’impresa realizzata da Sinner. Ma soprattutto, sarebbe solo un modo di rievocare il passato, quando in realtà, ciò che abbiamo visto stamani, è l’affermazione di un futuro che ormai sta diventando presente.
Jannik non ha solo battuto Djokovic sul suo campo, dopo sei anni che non succedeva, ma lo ha fatto anche sembrare vecchio, appartenente a un’epoca che non è più quella corrente. È vero, Nole ha giocato male, malissimo a tratti, dopo la partita si è detto “scioccato in negativo dal suo livello di gioco”, eppure la sensazione è stata quella di aver assistito a qualcosa di diverso, da una semplice “giornata no” del campione uscente e una “giornata di grazia” dello sfidante. Dietro c’è molto di più, per la prima volta, almeno in tempi recenti, è sembrato che Djokovic non avesse una possibilità di vincere la partita, troppo lento, scomposto, fuori tempo, passivo, davanti a un avversario che sembrava un robot per la precisione dei movimenti e l’esecuzione dei colpi; nei primi due set Sinner ha giocato a un livello in cui, anche il grande Djokovic, l’indistruttibile alieno, non poteva giocare. Non solo dal punto di vista tecnico, anche mentalmente il serbo è sembrato in affanno, logoro, come se si sentisse spossato dalla freschezza del giovane avversario, la passività con cui ha accettato di perdere i primi due set è stata qualcosa di nuovo, che non avevamo mai associato alla sua figura, come se riconoscesse e ammettesse davanti a tutti, di essere, in quel momento, inferiore all’avversario.
Chiunque ha seguito la carriera di Djokovic, sa benissimo che partite del genere non sono mai finite, neanche dopo due set persi, e anzi, la preoccupazione riguardava più come Sinner avrebbe gestito il vantaggio (Wimbledon 2022 ci ricordava qualcosa), rispetto al come e se il serbo sarebbe tornato in partita. In quei momenti accade qualcosa di magico nelle partite del numero 1 del mondo, tutto torna in ordine, il suo ordine chiaramente, i colpi, fuori misura fino a quel momento, ritrovano la profondità e la precisione desiderata, i movimenti tornano fluidi come quelli di una ballerina alla Scala e improvvisamente, quello che hai fatto fino a quel momento, che ti ha portato ad avere due set di vantaggio, non solo non basta più, ma sembra appartenere a un’altra partita. Nessuno è bravo come Nole a gestire la lunghezza delle partite, galleggiare tra i propri alti e bassi, per poi diventare tsunami quando crede sia il momento giusto, portandosi via tutto ciò che hai faticosamente costruito; in queste situazioni, è come se impiegasse due set per registrare le informazioni di cui ha bisogno, per poi utilizzarle a proprio vantaggio nella seconda parte della partita, quella dove poi fa la differenza.
Quando Sinner ha affossato in rete il possibile match-point e, pochi minuti dopo ha ceduto il servizio, subendo il mini-break fatale, che gli è costato il primo set perso del torneo, abbiamo avuto paura, non c’è da nasconderlo, perché anche in una giornata stregata, in cui non ci sono motivi per cui possa vincere, Djokovic sembra imbattibile, si porta dietro un’aura di ineluttabilità, in cui volere e potere coincidono, diventando sceneggiatore, regista e attore principale della propria partita. Inoltre, per accrescere le nostre ansie, ha fatto quello che contribuisce a rendere mistico il suo personaggio: è andato in bagno, per cambiarsi, ma, nell’immaginario comune degli appassionati, per ricaricare le pile in vista di una rimonta ormai quasi scontata.
Sinner ha atteso, cercando di eliminare questi pensieri dalla testa, di non rivivere i fantasmi della semifinale di Wimbledon del 2022, in cui si trovava nella stessa situazione, e si è messo a saltellare, giocherellando con la pallina, aspettando che si alzasse nuovamente il sipario, senza avere il minimo dubbio, che quello sarebbe stato il suo spettacolo, in cui lui sarebbe stato l’unico protagonista sul palcoscenico, riducendo l’avversario a comparsa.
Questo è stato Djokovic nel quarto set, una comparsa, Sinner si è fatto enorme, ha messo da parte le incertezze e ha martellato da fondo campo, proprio come aveva fatto nei primi due set, giocando un tennis supersonico, che appartiene al futuro, alla prossima generazione di tennisti. Nole ha provato a ribellarsi, ad arrabbiarsi, a gesticolare nei confronti del proprio angolo, ma è apparso fuori dal tempo, incastrato in un passato dal quale non è stato in grado di uscire, un vecchio leone ferito, che ha cercato di sferrare le ultime zampate, accorgendosi, con lo sguardo di chi sembrava averlo capito, che non avrebbero sortito nessun effetto. Oggi è un giorno speciale, ci siamo accorti che il tempo passa anche per Novak Djokovic e a farcelo notare sono stati i colpi e la tenuta mentale di un giocatore italiano, Jannik Sinner, che, con la classe e l’eleganza dei grandi campioni, si è consacrato definitivamente anche a livello slam.
Non so se sia giusto parlare di passaggio di consegne, Djokovic è il più vincente giocatore della storia del tennis, e quest’anno potrebbe anche vincere tutti gli altri tre slam rimasti, per questo quello che abbiamo visto stamani assomiglia più a un passaggio di epoche. Sinner ci ha mostrato, come se avesse un portale spazio-temporale, come sarà il tennis del futuro, e noi siamo rimasti sorpresi nel vedere che il Djokovic di adesso, non ha armi per poter farne parte. In fondo, ogni epoca ha i suoi campioni e quella in cui stiamo per entrare, ha Jannik Sinner come principale portabandiera.