All In, la serie in cinque episodi su Marc Marquez, è uscita da tre settimane con una grandissima promozione e commenti discordanti: per qualcuno un piccolo capolavoro, per altri un’accozzaglia di immagini e situazioni che riesce soltanto nell’autocelebrazione del protagonista. Di certo però, questa è la prima volta nella storia del motomondiale in cui un pilota decide di finanziare un docufilm su se stesso, cosa che con tutte le probabilità faranno anche altri in futuro: per il pubblico è più di un’autobiografia - che Marquez comunque ha in programma di lanciare il prossimo 8 giugno - e per lui è un altro mattone (assieme al nuovo fan club e all’utilizzo dei social) con cui costruirsi una reputazione diversa. Perché solo fermandosi e smettendo di vincere si è reso conto che quel 2015 con Valentino Rossi gli ha cambiato la vita più dell’infortunio a Jerez. Una vita fatta di successi e obiettivi, ma anche - All In lo mostra molto bene - carica di solitudine e spietata. In una lunga intervista realizzata da Raquel Jimenez per i colleghi spagnoli di Relevo, il regista Jaime Perez racconta nel dettaglio il suo lavoro con l’8 volte iridato: “L’idea del documentario è venuta a Marquez, che ha ritenuto di trovarsi nel momento giusto della sua vita per farlo”, spiega subito. “Voleva una docu-serie sulla persona oltre che sul pilota… Ha visto i nostri lavori, gli sono piaciuti e ci ha chiamati per questo progetto. Normalmente è la casa di produzione a rivolgersi ai protagonisti, ma questa volta è stato il contrario”.
Quando Perez racconta il 2015 lo fa spiegando che Marquez ha reagito alle provocazioni come un ragazzino, lasciando intendere senza grossi tentennamenti che se Valentino Rossi non ha vinto il 10° mondiale è perché Marc ha voluto così: “Marquez era più giovane, immaturo e gli mancavano molte cose nella vita, soprattutto quelle brutte. Tutte le critiche e gli attacchi che ha ricevuto le ha rispedite al mittente come un ragazzino di 22 anni. Ora che ne ha trenta e di cose brutte ne ha viste tante, così ha deciso di sedersi ad analizzare gli eventi in modo più tranquillo, è più maturo e trasmette cose più profonde”.
Nonostante questo, pare che sia il pilota che la produzione abbiano tentato di convincere Valentino a partecipare al documentario: “Abbiamo proposto a Valentino Rossi di comparire, ma lui non ha voluto. Era un documentario su Marc Marquez e così abbiamo parlato anche di Jorge Lorenzo o dei primi anni in MotoGP con Dani Pedrosa, su cui Marc ha raccontato cose forti (“Devi rendere un inferno la vita del tuo compagno di squadra”, ndr.) e siamo andati da loro per sentire la loro parte della storia. Quando lo abbiamo fatto con Valentino lui ha detto di no e aveva tutto il diritto di farlo”. C’è da stupirsi? francamente è più sorprendente che abbiano voluto provarci.
Di passaggi delicati la troupe di Jaime Perez ne ha affrontati anche altri, a partire dal girato in cui Marc Marquez si è mostrato alle telecamere subito dopo l’operazione alla Mayo Clinic del Minnesota: “A volte è stato difficile capire dove porre i limiti o come affrontare la questione della sua operazione. Per fortuna abbiamo potuto filmare quasi tutto, ma poi era lui a decidere se pubblicare o meno i contenuti. Vederlo a letto dopo l’operazione appena uscito dalla sala operatoria è stato umanamente profondo”.
Stesso discorso poi per il ‘divorzio’ tra lo spagnolo e lo storico manager Emilio Alzamora, con cui Marc è cresciuto - umanamente e sportivamente - fino a lasciarlo per affidarsi a Jaime Martinez, che si occupa più d’immagine che di gestione sportiva: “Il divorzio con Emilio Alzamora è stato un tema molto delicato che riguardava soltanto loro due, ma noi brava lì. È stata una cosa molto complessa da affrontare perché oltre alla professionalità di entrambi c’era un rapporto simile a quello tra padre e figlio che durava da 18 anni e che si è interrotto in un certo modo. Questa cosa andava raccontata con cura e rispetto”.
Tuttavia, dovendo tracciare un bilancio dell’esperienza, il regista si dice soddisfatto, forte della risposta positiva del pubblico e di una certa libertà nell'editing concessa da Marc Marquez: “Per noi ne è valsa la pena, penso che per lui sia stato lo stesso. Abbiamo fatto poche modifiche, si è fidato molto e credo che anche per il pubblico sia stato interessante dia vedere. Mi piace anche quando penso che molta gente l’ha visto in un’unica sessione”.
Che sarebbe stata una serie piuttosto lontana dall'imparzialità è stato chiaro dalla prima sigla con su scritto 'Fast Brothers Production', società aperta appositamente per questo da Marc Marquez nel maggio 2022. Di notizie e dietro le quinte però ce ne sono abbastanza da rendere All In un prodotto più che interessante e, se state pensando di recuperarlo, forse questa è una buona occasione.