I silenzi non sono tutti uguali. Ci sono quelli figli della rabbia, quelli che nascono dal dolore, dall'incredulità, quelli che rispondo a gioia piena, che non ha bisogno di niente, e quelli di quando non si ha semplicemente niente da dire. Li riconosci dal contesto, dal linguaggio del corpo, dal motivo per cui un silenzio si è scelto, voluto. E il vuoto via radio di Charles Leclerc a Barcellona ha un valore più grande di tante parole dette, ripetute, gridate.
Dall'inizio dell'anno il monegasco cerca disperatamente di tranquillizzare i tifosi, e forse anche sé stesso, sulle scelte del suo futuro: resterà in Ferrari, dice in ogni modo possibile, mentre intorno a lui continuano a mescolarsi indiscrezioni, domande e tanti, troppi dubbi.
Charles Leclerc che potrebbe andare in Mercedes, magari scambiandosi con Lewis Hamilton, Charles Leclerc che potrebbe passare in Aston Martin, in Red Bull, in qualsiasi squadra che non sia quella di Maranello. Charles Leclerc che ha sempre giurato fedeltà alla Ferrari messo in dubbio, voluto altrove, mentre gli anni passano e il Predestinato - come lo hanno battezzato, re prima di avere una corona - non conosce gioie, vittorie, titoli.
Arrivato nella Scuderia dei suoi sogni con il contratto più lungo mai firmato da un pilota della Ferrari, il monegasco non avrebbe mai immaginato di arrivare verso la fine del suo accordo senza aver portato a casa un titolo mondiale, chiuso nella stanza delle speranze di chi è a un passo dalla realizzazione di tutto ciò che desidera, ma la porta è chiusa. E la chiave non c'è.
Le cose sarebbero dovute andare meglio: l'addio di Binotto, il progetto sviluppato da un 2022 di seconda forza nel mondiale, la speranza di poter raggiungere la Red Bull, vedersela in pista, lottare per il titolo ad armi pari. E invece Leclerc si ritrova di nuovo, come la sua squadra, a galleggiare tra i dubbi di chi non sa, non capisce, non migliora. 99 passi indietro, come i 99 punti persi dal 2022 al 2023. Una strada non battuta che mette a dura prova il cuore del più ferrarista tra i piloti.
Forse il suo difetto più grande, quello di amare incondizionatamente il team che lo ha portato in Formula 1, continuando così ad accettare ogni dipartita, a credere ad ogni speranza messa sul piatto, a tranquillizzare se stesso e gli altri, in un mantra cucito addosso: resto, non me ne vado, voglio vincere con la Ferrari.
Eppure, tra centinaia di rassicurazioni, un silenzio vale di più. Un vuoto di oltre metà Gran Premio che ha il valore di dare forma alla frustrazione di un ragazzo dal talento innegabile, prezioso e luminosissimo, costretto ancora una volta a una lotta fatta di sfortuna ed errori, grande da risolvere e impossibilità di farlo. Chiede le soft, Leclerc. Si apre via radio con il suo ingegnere e gli dice di no, di non volere le hard con cui - a inizio gara - aveva tanto faticato. Nessuna replica dal muretto, Xavi gli dice ok e gli chiede di entrare ai box. Solo una volta dentro, quando ormai ribellarsi alla scelta sarebbe impossibile, il monegasco si sente dire "ti mettiamo le hard".
Che la scelta fosse sbagliata o giusta, con un buon ritmo mantenuto da Leclerc con il secondo treno di dure, non c'entra un granché. Perché la mancata discussione con il pilota è l'ennesima prova che qualcosa nel box del Cavallino non funziona: gli scambi di opinioni tra ingegneri e piloti ci sono da sempre, così come le decisioni prese di forza, volute senza repliche, da una parte o dall'altra. Ma il dare l'ok a una scelta voluta dal pilota per poi costringerlo ad accettare ciò che aveva rifiutato, privandolo non solo della posizione di scelta ma anche del dialogo, non rappresenta solo un insulto per Leclerc, ma anche l'ennesima brutta figura di una squadra che naviga in acque tempestose.
Charles non grida, come al suo posto avrebbero fatto altri. Come forse in un'altra situazione avrebbe fatto lui. Ma sceglie la via del silenzio assoluto. Non comunica più con il team, non parla via radio, non commenta la decisione del muretto. Il suo è un silenzio fatto di facce diverse: la delusione, l'amarezza, la rabbia. I sentimenti di chi sa dove dovrebbe stare, di chi sa che cosa vuole essere, ma conosce i limiti di una condizione che non cambia se non, di stagione in stagione, per aggravarsi.
Perché quando le cose non girano iniziano i dubbi suoi piloti, capitanati da una schiera di tifosi da domenica al grido di "ma possibile che capitino tutte a lui?" o "ma non c'è davvero niente che lui possa fare visto che è considerato un talento?". La risposta è no, non c'è. In questo momento non c'è qualcosa da fare in pista.
C'è però qualcosa da fare fuori. Che sia alzare la voce o scegliere un silenzio che spacca le radio del muretto. Che sia dirlo, senza vergogna, che il futuro ora è incerto e che no, non è sicuro di voler restare in Ferrari. Che l'amore è una cosa, il proprio futuro un'altra. Perché questo cuore ferrarista non deve essere disposto a rinunciare al proprio talento, e capirlo è la prima via verso la maturità. Con buona pace di tutti gli altri.