Quando una foto vale più di cento, mille parole. La foto in questione è quella che vedete, scattata durante uno shooting editoriale alla fine di una giornata che si preannunciava faticosa e greve, e che invece alla fine venne risolta alla grande grazie ad un filo conduttore che ha segretamente unito i partecipanti. Shooting in cui dopo aver osservato religiosamente le regole professionali del giornalista, ho deciso di fare come il libro di Susanna Tamaro “Va' dove ti porta il Cuore” e… ho fatto di testa mia, gettando via registratore e camicia per impugnare la mia fede calcistica e rivelandomi per chi ero e sono ancora. La foto è quella di un gruppo di ragazzi sorridenti, tutti a petto nudo (con percentuali diverse di grasso corporeo) dove nel mezzo scorgiamo "Ibracadabra", lo scorpione, il samurai, Ibra aka Zlatan Ibrahimovic, dio indiscusso del gioco del calcio moderno, insieme al sottoscritto, io, Roberto Croci aka La Bestia, giornalista, ma più importante ancora, interista da sempre, interista a vita, dopo che, nato in una famiglia di gobbi (papà e i suoi due fratelli, più le tre sorelle più due nonni ) vengo salvato letteralmente da zio Sandro, che capendo il dramma umano, mi rapisce e mi porta da bambino a 8/9 anni sul campo del Leone XII a MIlano, dove, (dala foto, prova inconfutabile delle mie parole), preso di spalle, mi si intravede indossare la mitica maglia nove di Roberto "Bobo" Boninsegna che trascino per il campo infangato. Quello è il giorno in cui nacqui interista, e da quel giorno in poi, il mio cuore batte solo Nerazzurro.
Black&Blu.
Questo l’aggancio professionale del mio racconto, di quando ho avuto la fortuna, sì, la fortuna di trascorrere un giorno con Ibra, di conoscerlo un po' di più, di palleggiare con lui nel mezzo del parcheggio di cemento di uno studio fotografico di Los Angels, dopo essere incorso (e rincorso) nelle ire del Pr dei L.A. Galaxy, il quale si raccomandarono:
“Bob, do what you want, ask him anything, but no ball, no pallone".
"Sure my man. Sure”.
Mentre io, nonostante il divieto, mi sono presentato, proprio per non essere frainteso, con la casacca dell'Inter 2014/15 sponsorizzata Pirelli e gli ho fatto firmare la Black&Blu del 2008 che indossava quando ci ha fatto vincere l’ultimo dei tre scudetti. Niente pallone? Ma please!!! Ovvio che ho mentito spudoratamente. Di più, avrei venduto anche la mamma se me l’avesse chiesto. Come si può pensare di incontrare uno dei tuoi idoli di sempre e non pensare al pallone, e non volere egoisticamente ritornare ad essere bambino e, per qualche secondo, immaginare di scartare la Nunzia (si, nel cortile del palazzo in quel di Rho-Milano), il difensore più roccioso, era una ragazzina che menava come pochi e che, anni dopo, nel calcio femminile, avrebbe ricevuto il soprannome di The Wall.
Torniamo alla foto, alla sua sorpresa genuina, di quando nel vedermi togliere la maglietta, coglie la palla al balzo e segue il mio esempio, dissacrando lo studio fotografico, ma instaurando fra tutti un legame meraviglioso che ci ha permesso di parlare, sentire, chiedere, fotografare senza alcun rimorso, trasgredendo qualsiasi regola professionale… Zlatan l’uomo ha voluto farci sentire ‘ragazzi’ come lui, giocatori da campetto come lui. Ibra puoi amarlo, odiarlo, e/o trovarlo arrogante, ma una cosa è certa, è unico, è autentico e ti dirà sempre in faccia quello che pensa. Nel bene e nel male. Quella stessa autenticità che gli ha permesso di parlami di razzismo in Svezia e in italia - “Dovrebbero dare persa la partita a tavolino all’altra squadra” - di dirmi del suo calciatore preferito - ”Ronaldo, il brasiliano. Perchè lui non giocava a calcio, lui era il calcio. Il prossimo? Mbappé, perchè fa la differenza”; del suo incontro con Mino Raiola: “Mi scrisse un bigliettino dove mi diceva “fuck You. Segna di più che ti mando dove vuoi tu”; del suo sogno nel cassetto di fare cinema: “Mi piacerebbe lavorare con Tarantino’; di confessare che non sa cucinare per un cazzo: “Faccio solo spaghetti burro e parmigiano”; di tirar fuori il telefonino e farmi vedere quei due video che sono, ancora oggi, una delle sue più grandi motivazioni per tirar fuori il meglio di sé stesso. Quali video, mi starete chiedendo? I video contenenti i due falli su/contro Marco Materazzi, il primo quando Ibra vestiva la maglia Juve, mentre viene steso dal nostro 23, e il secondo, anni dopo, il suo, in maglia rossonera, che lo stende sul prato di San Siro con un colpo da taekwondo, espertamente assestato. Oppure come quando mi spiega cos’e il calcio per lui: "Quando tu sei quello che decide, che fa la differenza. Ci sono quelli che giocano a calcio e ci sono giocatori che pensano il calcio. Quando uno pensa inventa un nuovo modo di fare calcio, gli altri seguono e basta. Io quando gioco faccio la differenza”. O ancora come quando gli ho ricordato di come ha perso l’unica Coppa che ancora non ha in bacheca, (sì, c'ero anch’io all’Ucla) quando durante il precampionato Inter con Josè Murinho, volle andar via (baciando lo stemma della maglia del Barcellona di Messi, Xavi, Iniesta) e in cambio ci dettero 46milioni più Etò (ridiamo)…the rest is history.
Detto questo, premetto che Ibra ha scritto due libri - I am Zlatan Ibrahimović e I Am Football: Zlatan Ibrahimović - e se volete conoscere meglio il suo passato. leggeteli. Per sapere di più sul nostro incontro, continuate qui, dove vi descrivo la nostra squadra, qualche segreto e la sorpresa finale dell’intervista che ho ricordato col sorriso sulla labbra mentre lo vedo congedarsi dal suo pubblico. Come detto arrivo per primo e mi trovo davanti un uomo gigantesco, pelato, occhi letali, le cui espressioni labiali denotano una mancanza perenne di sorriso. Rafael, israeliano, sicuramente un passato nei servizi segreti Mossad, manager dello studio che s’appresta a dirmi cosa si può fare e sopratutto cosa non si può. Dopo vediamo arrivare il resto del team, tutti concentrati, silenziosi, quasi preoccupati della giornata che li attende. Tesi, nervosi e ansiosi per vederlo da vicino. I primi due ad entrare sono Joseph e il fratello, francesi, incazzati neri dal profondo delle banlieu di Parigi; seguiti da Eugenio l’albanese e dai suoi assistenti yankees John e Mino, oltre che dal venezuelano Duke, proprietario di una magnifica Buick Riviera 1965 che, scoprirò solo dopo, essere uno dei protagonisti dello shoot. Attendiamo, ed ecco che arriva puntuale (è svedese) Zlatan Ibrahimovic, due metri di guerriero dalla folta chioma e naso incipiente che serissimo ci squadra, per poi esplodere in un sorriso cosi prorompente, sincero, accomodante che mette tutti a proprio agio. Dotato di una simpatia travolgente, di un’umanità contagiosa al punto da far dimenticare il Vip e far invece amare l'uomo Zlatan. Ed è in quel momento che accada il Miracolo, in quel momento ho visto uomini diventare bambini, tutti attorno a Zlatan, a raccontare di gesta sportive su campi dimenticati dal tempo, chi nella Hal-Fa-Hat, terza divisione israeliana, chi nei principati amatoriali francesi, chi ancora nella Rhodense in serie C (me medesimo), chi gli porge la black&blu originale dello scudetto Inter 2006-2007 da autografare, chi ancora si fa fare i selfie, chi gli stringe le mano e chi ancora introduce un pallone perchè… il sogno era proprio quello di fare quattro palleggi con lui, personaggio squisitamente controverso che è riconosciuto da tutti con un solo nome: Zlatan. Esattamente come Elvis, Kobe, e sopratutto, Pelè, Messi e Maradona.
Amo Zlatan, non importa quale maglia indossi. Zlatan è way of life, è religione, disciplina, un modo di vedere la vita, di affrontarla, di ripagarla. Zlatan ci permette di rispecchiarci in lui, Zlatan siamo tutti noi, specialmente quando segna (66 gol in 117 partite solo con la maglia nerazzurra) quando dopo la galoppata, il colpo di testa, la bordata, la raffinatezza, il colpo dello scorpione, il dribbling, il tacco, la giocata di biliardo, il pallonetto… il tempo sembrava fermarsi, e lo vedevamo piantare le gambe, allargare la braccia e sorriderci: “Visto ragazzi?”, quello era il suo gesto più bello, la sua riconoscenza verso noi tifosi, di qualunque sponda fossimo. Un uomo per tutti, di tutti, che ci ha permesso di ritrovarci fratelli e abbracciarci, qualsiasi numero portasse.
Lo stesso uomo che vedo a San Siro, in borghese, occhi luccicanti, sul tappeto rosso riservato alle star, mentre i fari dello stadio si spengono e le luci dei cellulari si accendono per immortalarlo, intento a dare l’addio al calcio giocato, Adesso le lacrime scendono copiosamente e non riesco a smettere di singhiozzare. Un tributo umano il mio, che va oltre la maglia, che mi ricorda quello di Kobe, un tributo riservato ai grandi geni, che si sostengono grazie a quel pizzico di egoismo e disciplina da mamba mentality che li contraddistingue dagli altri giocatori, bravi, bravissimi, ma comuni mortali. Quando un grande che ha riempito la tua vita sportiva se ne va, è una parte di te stesso che muore, dopotutto di mediani ne basta uno, lo dice anche Ligabue. Paradigma che non funziona con Zlatan, perchè Zlatan è un unicorno, Zlatan è la fossa delle Marianne, Zlatan è Indiana Jones e l'Arca Perduta, Zlatan è come l’Area 51, dove pensi di sapere, ma non saprai mai quello che gli passa in testa.
Una cosa è sicura: Zlatan ha dato l’addio al calcio il 4 giugno del 2023 ricambiando amore e riconoscenza per la famiglia Milan: "Mi avete ricevuto con braccia aperte, sarò milanista per tutta la vita” o finchè gli ritorna la voglia del pallone, e vedrete che cambierà colori, ma non perchè Zlatan mente, ma semplicemente perchè dopo l’addio ad Ajax, Juve, Inter, Milan, Barcellona, Psg e Los Angeles (quando comprò un'intera pagina dell' La Times per dire ai suoi tifosi “I came. I conquer. I left. Now you can go back to watch baseball games!" è normale che ci siano dei dubbi nei tifosi (non sull’amore che ha per Milano e il Milan), ma quello che è importante è il personaggio, lo spessore umano di un uomo che ha sempre speso le proprie parole col cuore.. di getto, con convinzione, e certo, con teatralità che è permessa ai grandi, proprio in virtù del fatto che…alle parole sono sopno sempre seguiti fatti.
Un segreto … Al tempo della mia intervista, non si sapeva ancora dove sarebbe andato, e quando finimmo il tutto si alzò e, abbracciandomi, mi disse:
Z: Ciao, ci vediamo in Italia!
R: Cosa??
Z: Si, l’Italia, andrò in una squadra che deve vincere di nuovo, che deve rinnovare la propria storia, in cerca di una sfida contro tutti. Solo così riuscirò a trovare gli stmoli necessari per sorprendervi ancora.
R: Grande Ibra, basta che non vai dagli antipatici!
N.B. Il Milan, come li chiamava il mio presidente Moratti.