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In Superbike ad Aragon è successo di tutto ma a nessuno frega un ca**o

  • di Cosimo Curatola Cosimo Curatola

24 maggio 2021

In Superbike ad Aragon è successo di tutto ma a nessuno frega un ca**o
Il weekend d’esordio della Superbike ad Aragon ha dimostrato che nelle derivate non manca (sempre) lo spettacolo. Manca l’interesse. Perché gara 2 è stata fenomenale, ma in fin dei conti non frega niente a nessuno

di Cosimo Curatola Cosimo Curatola

Poteva essere l'ennesima tripletta di Jonathan Rea, ma per l’inizio della Superbike 2021 il meteo ha cambiato faccia a gara 2. Scott Redding si schiera con le slick con l’asfalto umido quando gran parte dei suoi avversari montano le intermedie. Parte piano, prende confidenza e vince con dieci secondi sul secondo. Aveva un vantaggio tecnico, ma va detto che Jonas Folger (anche lui con gomma d’asciutto) ha chiuso ottavo. Per Borgo Panigale l’inglese è un’ancora di salvezza, perché Chaz Davies - con gomma da bagnato - cade dopo un paio di curve, mentre Michael Rinaldi rientra al box per mettere le slick dopo il giro di schieramento e finisce sedicesimo.

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L'incidente tra Gerloff e Rea

La gara però, mentre appare chiaro che Redding può solo perderla con una scivolata, è tutta da godere. Oltre alle (solite) Kawasaki infatti, nel gruppo di testa ci sono anche la BMW di Tom Sykes e la Yamaha di Garrett Gerloff. Quest’ultimo, nel tentare un sorpasso sul campione in carica per la prima posizione, perde l’anteriore trascinando Rea nella via di fuga. Johnny, che sei mondiali di fila non li ha vinti per caso, tira dritto fra ghiaia e cordoli e si rimette nel gruppo. E con relativa calma, un sorpasso alla volta, si prende la seconda posizione, primo dei piloti con le intermedie nonostante l’intoppo con l’americano. Gara bellissima. Merito del meteo, certo, ma anche dei suoi protagonisti: Scott Redding che dice testualmente “fanculo, proviamoci” e si gioca il jolly in un weekend difficile; Jonathan Rea che porta a casa il miglior risultato possibile nonostante tutto; Garlett Gerloff che dopo la caduta risale fino al settimo posto.

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Dopo la gara i piloti regalano anche un po’ di show per i giornali a partire dal giro d’onore, quando Rea si affianca a Redding per fargli i complimenti: hai due coglioni così, mima. E Gerloff al parco chiuso va a chiedere scusa a Jonathan per l’entrata violenta. “Perdonami, ho sbagliato” e quell’altro: “erano condizioni difficili, succede”. Certo, se lo avesse tirato giù sarebbe stato meno accondiscendente, ma è stato comunque di un bel momento.

Non sono mancati sorpassi, incertezza, cadute, rimonte. E nemmeno i piloti spontanei che tutti pensano castrati dalla televisione. Quello che è mancato, semmai, è l’emozione.

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Per un’insieme di scelte e situazioni la Superbike finisce per essere una sorta di metadone in attesa della MotoGP. Ed è un peccato. D’altronde un campionato che comincia nel terzo weekend di maggio sembra già mettere le mani avanti: si, ci siamo, ma niente di serio. Poi il regolamento modificato all’ultimo istante e le moto che nessuno ha capito fino in fondo, che vanno forte quasi come i prototipi (a volte li superano) ma continuano ad avere gli adesivi coi fari sul cupolino. E non è colpa dell’uomo che, dal 2015, ha sempre vinto il titolo, perché anche nel motomondiale c’è un dominatore ma nessuno ne ha mai fatto un dramma.

La Superbike andrebbe fatta con vere derivate di serie, o magari con le nude a manubrio alto. O ancora senza elettronica, come nel BSB. In fondo, a mancare, è un elemento distintivo che dia agli appassionati un sapore diverso dal resto delle corse. Cose che puoi vedere solo nella lì perché altrove non possono farle. Lo show non arriva mai a chi guarda, solo a chi segue da vicino. Come se facessero suonare gli Stones al Colosseo senza accendergli i microfoni.

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