Max Temporali è pilota, tester, Piega&Spiega. Va forte anche se lui dice che non è vero. Max Temporali è anche la voce della Superbike, che in questo weekend arriva a Misano per la terza tappa del 2021. Con Jonathan Rea ancora davanti ed il settimo mondiale consecutivo sempre più vicino, nella pista in cui vinse la sua prima gara ai tempi della Honda. La Ducati però insegue, ci prova, soffre. Con uno Scott Redding che sa rialzarsi ed andare veloce. E poi tutti gli altri, pubblico incluso, che torna sul Marco Simoncelli World Circuit per restituire al motorsport un po’ di normalità. Abbiamo intervistato Max per farci raccontare il mondiale delle derivate, la mente del pilota e la MotoGP. Ecco cosa ci ha raccontato.
All’Estoril, quando è caduto Scott, hai detto che in quel momento Rea aveva vinto il titolo.
“È vero che alla prima gara non si vince il campionato, ma è ancora più vero il contrario: alla prima gara rischi di perderlo. Un pilota come Jonathan Rea ha tra i suoi punti di forza una costanza spaventosa. Ed è difficile trovare una qualità simile nella storia dei piloti. Rea quando va male arriva sul podio ed è forte in ogni condizione: pioggia, asciutto, freddo, caldo…”
A volte ricorda un po’ Lewis Hamilton: c’è chi dice che è fortunato, ma lui porta a casa (quasi) sempre il massimo. E questa cosa per gli avversari è devastante.
“I grandi campioni sono sempre accompagnati da una grande fortuna: io non so se sia una coincidenza o se è qualcosa di magico che fa parte del loro essere piloti. E poi quando la fortuna inizia a lasciarti è il momento in cui smetti di essere un grande campione. Non so quale delle due cose smetta di funzionare per prima nel momento del tracollo, ma è così”.
Tu vedi un rivale in particolare per Jonathan Rea?
“Lui ha tanti rivali, ma sempre in momenti diversi. Perché di piloti buoni ce ne sono, ma di così completi no. E non ne vedo neanche dopo. Dalla Supersport faccio fatica a vedere qualcuno con un talento così grande da poter impensierire Johnny. Fa prima a ritirarsi lui”.
Qual è la cosa che ti piace di più di questa Superbike moderna?
“Rispetto a qualche stagione fa è stata fatta una bella selezione. Nella stragrande maggioranza dei casi sono grandi squadre con grandi piloti. Lasciamo perdere il capitolo Rea per un attimo, perché per vincere servono tante cose, tra cui il budget. Se la MotoGP è cresciuta tanto, con una decina di piloti in un secondo, in proporzione la stessa crescita l’ha fatta anche la Superbike. Tutti i piloti e i team che correvano un po’ da comparse ora non ci sono più. E per me, da appassionato, è stata una gran cosa. Poi ci sono un sacco di moto che vanno bene ed hanno un progetto solido. Poi però, per vincere serve anche altro. Ma le moto sono tutte pazzesche, spettacolari”
E la differenza più marcata tra moto di serie, da concessionario - come una Ducati Panigale V4 o una Yamaha R1M - confrontate con le rispettive Superbike?
“Sono moto più facili. Faccio un esempio: ho provato la Yamaha SBK a Portimaõ, una pista spaventosa che fa venire il mal di pancia solo a vederla in tv. Ero preoccupato! E invece la guidi, te la mettono lì in un modo in cui diventa guidabile anche da un amatore. Ed è facile, perché apri il gas e lei va via come lo zucchero filato, non hai 200 CV scaricati in maniera brusca. Anche perché, sulla moto stradale, fai tu il set-up elettronico e sbagli una lunga serie di cose. Sulla Superbike ci sono dei tecnici che ti aiutano a farla andare forte. E una moto, per andare forte, deve essere facile. È la cosa più importante. Poi su alcune moto da corsa ritrovi l’anima di quelle di serie, Yamaha e Ducati - per rispondere alla domanda - hanno quel carattere. Certo che la moto di Redding è tutto un po’ di più, ma la moto è quella”.
La Kawasaki è un po’ diversa?
“Eh, inevitabilmente. Non ho ancora provato la 2021, ma la Ninja da corsa è la più distante del lotto rispetto alle versioni stradali. C’è un delta importante. La moto più facile vince, e la Kawasaki che corre in Superbike è una moto estremamente bilanciata. Ed è fondamentale, perché meno elettronica usi e più vai forte. Ma per liberare il motore devi avere un bilanciamento pazzesco. E quella moto è fatta così, è magica. Ed è questa la carta vincente di Kawasaki. Che poi è la ragione per cui appena arriva su di una pista diversa va subito fortissimo, cosa che con le altre moto non succede”.
E fermare Rea è difficile.
“Certo, ma mi sento di dire che abbiamo dei piloti italiani interessanti. Perché non saranno a livello di Rea e Redding, ma hanno un bel margine di crescita. E il bello è che dobbiamo ancora scoprirlo questo margine. Vale per Locatelli, per Rinaldi e anche per Bassani”.
Axel Bassani è stato una bella sorpresa.
“Sai cos’ha lui? Fame. Ha preso un sacco di batoste. Non è nato con la stella fortuna e neanche con tanti soldi, ma dopo una strada tutta in salita ci sono solo due opzioni: o ti fermi, o fai quello step di determinazione interiore che ti porta ad essere come è lui. A me piace tantissimo, mi ha dato dei piccoli segnali in questa prima fase di campionato - e corre con un team piccolino al suo vero debutto - ma in alcune occasioni è andato forte come quelli buoni”.
“Locatelli arriva già con uno step in più, perché quando vinci un mondiale di qualsiasi categoria sei già un pilota più completo e consapevole. E Andrea non ha mai fatto grossi errori, questo mi conferma che è anche un pilota intelligente. Arriverà, ci sarà un momento in cui farà quel click che lo porterà più avanti. Michael invece a livello di talento ne ha davvero un bel po’. Tra l’altro secondo me è anche un personaggio: simpatico, solare… A me piace molto come persona. Come pilota secondo me quest’anno rischia un po’ di sentire un po’ di pressione dalla casa ufficiale. Finché corri in un team indipendente ogni buon risultato è grasso che cola. Ora invece ci sono le aspettative, e quelli del Ducati Aruba lo coccolano ma in cambio pretendono. Quando diventi più grande anche i problemi crescono. E soprattutto ora ha anche il ruolo di collaudatore, mentre fino all’anno scorso pensava solo a guidare”.
Vero.
“Considerate che i piloti vivono tutto nella loro testa. La loro mente è delicata come le ali di una farfalla. Possono togliere mezzo secondo se sono motivati nel modo giusto, così come può essere il contrario. Ad alti livelli la squadra deve essere davvero straordinaria. Ad andare veloce ce ne sono tanti, ma la differenza la fa sempre la testa”.
Impossibile, di questi tempi, non chiederti di lui: cosa pensi della situazione di Valentino Rossi?
“A me da abbastanza fastidio leggere le dichiarazioni degli altri su di lui. Non capisco perché debba ritirarsi. Se fai un lavoro che ti piace e hai la possibilità di farlo perché dovresti andartene? Se la squadra - o la Yamaha - ha bisogno di Valentino per mille motivi non ci vedo nulla di sbagliato. Se proprio vogliono prendersela con qualcuno dovrebbero farlo con chi gli permette di correre”.
Ammesso che probabilmente non lo farà mai: pensi che se andasse in Superbike sarebbe competitivo?
“Competitivo sicuramente si. Però non basta il pilota. Non è che Valentino Rossi viene, sale sulla prima R1 che trova e va a vincere. La forza di uno come lui è quella di portarsi delle persone, trovare il suo metodo di lavoro… Allora quello lo potrebbe in una condizione più favorevole. Ma se venisse così avrei qualche dubbio, o comunque difficilmente andrebbe a podio tutte le domeniche”.
Ti piacerebbe vederlo lì, in Superbike?
“Certo. Avrei preferito vederlo in un momento in cui forse aveva un po’ più di smalto. Perché sarebbe servito come parametro per valutare il livello della Superbike. Da anni c’è chi parla di Serie A e Serie B con la MotoGP, invece c’è tanto talento. I tempi che fa Jonathan Rea non sono così distanti dalla MotoGP. Ma le cose vanno pesate”.
Ovvero?
“È naturale che la MotoGP sia supersonica, il massimo assoluto. Ed è giusto che vada più forte della Superbike in qualsiasi pista. Ma è anche vero che la Moto2, faccio un esempio, potrebbe andare più forte di così. Ma quei 3-4 secondi di differenza con la MotoGP devono rimanere. Certo, estremizzare i motori porterebbe a problemi di affidabilità, ma dal 765cc di Triumph potrebbero uscire dei bei cavalli".
“Comunque c’è una bella continuità fra Moto3, Moto2 e MotoGP. E non è sempre stato così, perché in passato le altre categorie erano un po’ un tuffo nel buio. Ma è anche vero che, quando un pilota ha talento, può venire fuori da ovunque. Pensate a Marquez: lui correva con una Moto2 molto diversa rispetto ad ora, ma resta comunque Marquez. Quindi la categoria insegna, ma uno come lui sarebbe potuto anche venire dalla 600 Supersport e oggi sarebbe comunque Marc Marquez”.
A proposito: come vedi Marc?
“È più facile rallentare un pilota che si stende che far andare forte uno che va piano. Quindi tornerà il solito Marc, ne sono sicuro. Farà presto, anzi: ci sono già stati dei momenti in cui ha mostrato di esserci. Ha una marcia in più rispetto a tutti e arriva”.