Imparare a girare sul kart è un’esperienza unica. Lo è ancora di più se a farti da coach è Jos Verstappen e piuttosto che farti imparare solleva il kart per farti scaldare le gomme per bene. Thierry Vermeulen, olandese e classe 2002, ha imparato così e da lì è cominciato un lungo viaggio che lo ha portato fino a correre in campionati di alto livello come il DTM e il GT World Challenge. Il suo è stato un percorso atipico e ci ha raccontato tutti i dettagli in una chiacchierata dove è emersa anche la sua parte più sognatrice, di chi ha sempre avuto un obiettivo e ha fatto di tutto per renderlo la sua realtà. Suo padre Raymond, manager prima di Jos e adesso di Max Verstappen, lo ha sempre portato in pista ma senza dargli il permesso di correre: prima la scuola, poi il resto. Una volta finiti gli studi però, la passione di Thierry era ancora lì, più forte che prima, e così sono iniziati i primi test sulle vetture a ruote coperte.
Nel 2023 è stato uno dei protagonisti del DTM, dove ha corso con Ferrari e si è aggiudicato il sedicesimo posto in campionato al debutto, e del GT World Challenge Sprint, sempre insieme alla vettura di Maranello gestita dal team Emil Frey Racing, insieme ad Albert Costa. Tra la sua genuinità e la voglia di raccontarsi, ecco la storia di Thierry.
Partiamo dall’inizio: com’è iniziata la tua passione per il motorsport?
Sono cresciuto in una “famiglia motorsport", se così si può chiamare. Mio padre era il manager di Jos Verstappen prima di esserlo di Max, quindi sono sempre andato in pista. Vedere le macchine, sentire gli odori tipici di questo sport e, in generale, l’intera atmosfera della pista mi ha conquistato dal primo momento, anche se poi la mia strada nel motorsport non è stata proprio tipica. Non ho iniziato a correre in gokart quando ero piccolo, anzi, in pista sono sceso per la prima volta a circa sedici anni. Al tempo le priorità erano altre: andavo ancora a scuola e mi ero appena trasferito in un altro paese con la mia famiglia, quindi dovevo imparare una lingua nuova ed adattarmi, non c’era tempo per i motori. Allo stesso tempo c’era Max al debutto in Formula 3 e la pista faceva comunque parte delle mie giornate quindi quando ho avuto l’occasione più avanti l’ho colta immediatamente e ho iniziato a girare sui kart. Era più un hobby che altro, al circuito che avevo dietro casa insieme a Jos, finché non si è trasformato in qualcosa di serio. Diciamo che ho trasferito la passione da fuori dalla pista a dentro. Ho fatto i primi test con una GT4 e poi eccoci qui.
La tua prima volta in pista com’è stata? Ti sei sentito a tuo agio fin da subito o inizialmente avevi un po’ di timore?
In realtà un po’ di timore lo avevo, non tanto per la velocità, perché a quella ero già abituato, quanto alla novità in sé per sé. Faceva freddissimo e io non sapevo scaldare le gomme, quindi appena uscivo dalla pit lane mi giravo e non capivo il perché. Poi a un certo punto Jos è venuto in pista e ha alzato il kart per farmi scaldare le gomme per bene e mi ha spiegato come fare, dato che spingevo fin da subito sull’acceleratore sbagliando. Non me lo scorderò mai, un’immagine indimenticabile di me che entro in pista e mi giro in continuazione!
Possiamo dire che hai saltato uno step quindi, debuttando direttamente in macchina, perchè coi kart hai girato ma non hai mai corso. Credi che l’esperienza mancata con il kart abbia influito nel tuo approccio alla vettura?
Come ho detto prima è stato sicuramente un percorso diverso, non è stato facile per me perché mi sembrava mi mancasse qualcosa, gli istinti, l’approccio alla gara vera e propria. Però quando ho iniziato nel 2020 nella Porsche Sprint Cup Benelux non mi sentivo tanto più indietro rispetto agli altri, perché il livello non era troppo competitivo. Ad oggi nel DTM o nel GTWC invece lo sento molto di più. Il livello è altissimo, i piloti sono preparati al massimo e si vede che è da tutta la vita che lo fanno. Io invece mi trovo spesso in situazioni che non ho mai vissuto e quindi non so cosa fare, magari non mi sento troppo sicuro di me stesso. In generale però cerco di dare sempre il massimo. Voglio divertirmi e imparare più che posso in ogni gara.
E cosa ti ha dato la forza di continuare nonostante tutto? Ti è mai passato dalla testa di mollare?
Per ora no, per fortuna! Innanzitutto credo che sia fondamentale che ti piaccia ciò che fai, in generale nella vita. Se hai quella passione e quell’aspirazione a dare il massimo non molli. Ovviamente devi essere onesto con te stesso e capire se stai facendo abbastanza e quali sono invece i tuoi limiti. Nel mio caso ho visto di anno in anno come crescevo, come ho imparato piano piano a capire le vetture e ciò mi ha motivato tantissimo. Ogni anno l’asticella si alza e allo stesso tempo le cose da migliorare diminuiscono: se guardi alle classifiche del mio primo anno il gap tra i primi cinque era magari di un secondo, quindi se trovavi quel dettaglio ti aiutava ma non ti metteva davanti a tutti. Adesso invece siamo tutti super ravvicinati e ogni millimetro conta, quindi è più difficile capire dove migliorarmi.
E infatti hai scelto l’endurance per avere tanto tempo in pista per imparare direttamente sul campo; a primo impatto però una gara endurance non deve sembrare proprio semplice: com’è stata la prima per te?
Hai detto bene, la mia prima corsa endurance è stata tosta. Conoscevo bene la pista perché era la 12H di Hockenheim e ci avevo già corso, mentre la vettura era la nuova Porsche 992 Cup che stavo ancora imparando a conoscere. La qualifica andò bene e conclusi secondo, anche se sapevo di avere il potenziale per la pole position e quindi rimasi un po’ frustrato. La frustrazione poi me la sono portata anche in gara e infatti ho distrutto la macchina. Sono partito con lo stesso approccio di una gara sprint, da una mezz’ora come ero abituato a fare, e ho spinto tantissimo mettendo tanta pressione alle gomme. Quando mi hanno chiesto se fossi stato in grado di fare un altro stint senza cambiarle ho comunque detto di sì perché volevo impressionare il team e invece dopo che mi sono fermato a fare rifornimento ho sbattuto la macchina. È sicuramente stata una bella lezione, l’endurance non perdona. E soprattutto è ben diverso dalle gare sprint. Certo, se sei veloce in una categoria puoi diventarlo anche in un'altra, ma sta tutto nel mindset. E infatti le gare dopo sono andate molto meglio, sfortuna a parte. Ogni volta che faccio una gara endurance però quel momento ad Hockenheim mi viene in mente!
Con l’esperienza sono arrivati anche i campionati un po’ più importanti, come il GTWC e il DTM. Com’è stato per te misurarti con alcuni dei piloti più competitivi delle ruote coperte?
Il DTM è sempre stato il mio grande sogno. L’ho sempre guardato e una volta arrivato nel loro paddock, dato che il primo anno di corse l’ho fatto in un campionato di supporto della serie, mi sono totalmente innamorato. Andavo sugli spalti a vedere le gare e adesso ci corro io in prima persona. Emil Frey Racing mi ha dato una grande opportunità insieme a Verstappen.com Racing e credo di aver imparato di più quest’anno che in tutti gli altri anni della mia carriera. In questi “campionati top”, se così possiamo definirli, ci corrono piloti che sono velocissimi, ex piloti di Formula 1 e campioni sulle ruote coperte, quindi bene o male sono riuscito sempre ad imparare qualcosa, pure partendo ultimo.
Tra l’altro hai avuto come compagno di squadra Mattia Drudi, che è uno dei piloti italiani più competitivi. Che tipo di compagno di squadra è stato?
Mattia è stato sicuramente uno dei miei compagni di squadra preferiti in questi anni! Funzionavamo molto bene insieme sia fuori che dentro la pista e in questo tipo di gare corte ma con due piloti era super necessario. Lui mi ha insegnato tantissimo e ancora oggi ci sentiamo parecchio, ripensandoci mi dispiace che quell’anno non sia andato come ci aspettavamo nell'ADAC GT Masters. Siamo stati parecchio sfortunati e io ancora avevo tanto da imparare ma sono davvero grato di averci potuto lavorare. E adesso è ancora più divertente battagliarci nel GTWC!
Quest’anno più che mai ti sei dato da fare in pista e hai avuto delle battaglie incredibili: qual è stata la tua preferita?
Questa è una bella domanda, ci devo pensare bene. Quella a Hockenheim con Vanthoor è stata sicuramente divertente, Dries è uno di quelli che quando lo vedi nello specchietto sai di doverti preoccupare, quindi è stato interessante vedere la situazione al contrario. Era tutto da giocare nell’ultimo giro e più tardi poi sono arrivate anche delle penalità, ma da pilota è stata davvero una gran battaglia dove ho dovuto cercare ogni millimetro disponibile. Anche al Sachsenring con il DTM ricordo della lotta con Preining, che poi ha vinto il campionato, pazzesca. In generale è stato un anno pieno di battaglie divertenti e mi viene difficile dirtene una in particolare.
E invece l’insegnamento più importante che ti porti da questa stagione?
Queste gare sono molto lunghe e ci sono tante opportunità che vanno e vengono, quindi credo che l’insegnamento migliore che posso portarmi a casa sia quello di rimanere calmo e non avere fretta di arrivare.
Il tuo mentore è sempre stato Jos Verstappen, com’è lavorare con lui?
Conosco Jos da quando sono nato, sappiamo tutti di come sia stata la sua carriera in Formula 1, e crescendo ho passato tantissimo tempo in pista e sul kart con Max. Poi nel 2021 abbiamo iniziato a lavorare insieme, è diventato il mio mentore e mi ha aiutato su molti aspetti che ancora oggi mi porto dietro. Come leggere la gara, come sistemare la macchina nel modo in cui mi sta meglio addosso… avere qualcuno come lui al proprio fianco e poi il supporto di Verstappen.com insieme a quello di Max è unico. Anche perché per me ci sono sempre stati fin dall'inizio.
Quando eri più piccolo ti è mai capitato di sentirti un po’ in competizione con Max?
No, da piccolo no. È adesso che mi ci sento in competizione! Da piccolo alla fine non correvo in prima persona e poi quando ho iniziato non sapevo dove mi avrebbe portato. Io sapevo solo che mi piacevano le macchine, le piste e le sensazioni che tutto ciò mi dava. Adesso giriamo insieme e sì, mi insegna tanto, ma quando siamo in pista io lo voglio battere!
Max ti segue da vicino e spesso viene a trovarti in pista. Cos’è che ti dice prima di lasciarti uscire dal box?
Ovviamente dipende, però cerca sempre di consigliarmi e supportarmi come meglio riesce. Non è sempre in pista con me e anche quando non c’è mi chiama per sapere come sta andando il weekend. Cerca di farmi rimanere calmo e concentrato dato che spesso sono molto nervoso prima delle gare e prova a ricordarmi anche le cose più banali. Nel motorsport non ci sono molte persone di cui ci si può fidare, alla fine si guida da soli; certo, c’è un team e tantissime persone che lavorano con te, ma poi ad abbassare la visiera ci sono solo io e devo fare i conti con me stesso. Quindi avere uno dei migliori piloti del mondo all’orecchio prima di correre mi fa assolutamente piacere, ancora di più visto il rapporto che abbiamo.
La senti la responsabilità di portare il suo nome in pista, letteralmente?
Certo che sì, ma in generale con tutti gli sponsor che rappresento. Ho una grande opportunità e so che rimarrà tra le mie mani finchè sarò competitivo. Allo stesso tempo io voglio cercare la performance per me stesso, per le sfide che ho con me e non solo per gli sponsor. Sicuramente ci sono molti più occhi su di me con il suo nome sulla fiancata insieme a quello di Red Bull, ma una volta in pista cerco di non pensarci ed è proprio questo uno dei motivi per cui sono stato scelto per questo progetto. Sono grato, sì, ma in pista più concentrato che altro.
Mentre la responsabilità di guidare una Ferrari la senti? Com’è la nuova 296?
Assolutamente si! Questo è stato il mio primo anno con Ferrari, la 296 è una macchina spettacolare e finora anche molto veloce, soprattutto nella seconda parte di stagione. A volte l’ho un po’ ammaccata sfortunatamente, ma è stato un onore per me poter correre con un brand che ha una storia così. Tra tutte le GT3 che ho guidato è senza dubbio la migliore, come lei nessuna.
Tuo padre, che le corse le conosce molto bene, ti ha aiutato o all’inizio non era troppo contento di vederti in pista?
All’inizio non era troppo entusiasta in realtà. Il motorsport può essere molto costoso, soprattutto all’inizio ed era un po’ titubante. Però almeno “la fortuna” di non dovermi pagare le prime stagioni in kart l’ha avuta dato che non ci ho corso, quindi in caso uso questa scusa! Lui è sempre stato parte del motorsport e adesso ci sono anche io, quindi ha iniziato a crederci veramente e ora fa di tutto per aiutarmi ad avere successo.
Hai dimostrato tantissimo in pochissimo tempo: ora però guardando al futuro cosa ci vedi?
Io sono qui per imparare e poi eventualmente per giocarmi i campionati. Non ho sicuramente intenzione di accontentarmi: è nel mio DNA, conosco il mio potenziale e voglio lavorare come si deve per realizzarlo al 100%. Mi piacerebbe correre a Daytona o a Le Mans e vincere il DTM sarebbe il massimo per me, è il mio campionato preferito in assoluto, però voglio rimanere coi piedi per terra.
Cosa diresti al piccolo Thierry che sognava di fare il pilota e a tutti quei giovani che vorrebbero intraprendere un percorso da pilota?
Nei primi anni avevo sottovalutato quanto sarebbe stato difficile. Ero un po’ abbagliato dalle piccole soddisfazioni che mi stavo guadagnando. Forse avrei fatto qualche scelta diversa, mi sarebbe piaciuto provare qualche monoposto per vedere dove mi avrebbe potuto portare. Ma a conti fatti sono contento della mia carriera fino ad adesso, niente è perfetto e anzi, sono le imperfezioni ad aiutarci di più. Da giovane pilota ti dico che non esiste il consiglio perfetto. Dai miei occhi però ti dico che bisogna lavorare il più possibile in tutti gli ambiti perché è possibile migliorarsi e arrivare ai propri obiettivi.
Non è ancora noto dove correrai nel 2024, ma qual è la tua ambizione generale?
Spero di poter rimanere negli stessi campionati con lo stesso team dato che fin’ora ho sempre cambiato ogni anno. Poi vorrei poter correre ancora con Ferrari, per migliorarmi ancora di più. Se riesco ad iniziare la stagione come l’ho finita l’anno scorso posso arrivare lontano.