Dai primi giri sui kart nei parcheggi dove lo portava il padre fino al volante delle vetture Gran Turismo più competitive, prima con Mercedes e presto con BMW: Raffaele Marciello è uno dei piloti più stimati nel mondo delle ruote coperte, che ha vinto tantissimo ed è sempre stato capace di far parlare di sé, sia dentro che fuori dalla pista. Classe 1994, cresciuto in Svizzera ma col cuore italiano, Raffaele si è fatto strada tra i campionati più combattuti prima in monoposto e poi in GT, conquistando l’ammirazione di moltissimi e l’attenzione di altrettanti, per lasciare il suo nome in parecchie piste. Anche se ancora non è chiaro il campionato a cui parteciperà il prossimo anno insieme a BMW, che lo ha messo sotto contratto a fine 2023 come pilota ufficiale, ma sicuramente avrà ancora occasioni per dimostrare tutto il suo talento.
Poco prima dell’inizio del 2024, un anno che lo vedrà iniziare più di una nuova avventura, Raffaele Marciello si è concesso a una chiacchierata per raccontarci di tutto quello che è stato il suo mondo fino ad adesso, tra le prime volte sul kart e gli anni in Ferrari Driver Academy, dove è anche sceso in pista con la Formula 1. Un viaggio nella sua carriera che insegna, soprattutto ai giovani piloti, che si può trovare tanto successo anche per vie alternative, e che c’è tanto altro oltre la Formula 1.
Partiamo dall’inizio: come ti sei appassionato al motorsport?
Diciamo che è nato tutto tramite un sogno di mio padre. Lui faceva il camionista ed è sempre stato appassionato di motori, anche senza mai fare il pilota. Quando avevo circa tre anni e mezzo mi ha messo su un gokart, poi abbiamo iniziato ad andare nei parcheggi per allenarci, dato che in Svizzera prima dei sei anni non si poteva correre in pista. Una volta raggiunta l’età che me lo permetteva ho iniziato a correre e da lì è iniziata la mia carriera.
E com’è stata la tua primissima volta sul kart? Già sapevi che volevi fare questo nella vita?
Ero così piccolo che non me lo ricordo in prima persona, però in realtà da quello che mi hanno sempre raccontato non ero così propenso nel guidare, non mi piaceva troppo. E alla fine quando sei così piccolo è anche capibile. Però poi crescendo sono arrivate le prime vittorie e mi sono reso conto che potevo essere bravo davvero, che poteva diventare il mio futuro. In più a scuola non è che mi piacesse così tanto andarci, quindi dal piano B è diventato quello A.
Dopo i kart sei passato alle monoposto. In tutti i campionati di "formula" a cui hai preso parte sei sempre andato forte e hai avuto modo di lavorare con grandi team, come Prema e Trident. L’hai mai sentita la pressione?
No, per fortuna non mi ha mai influenzato, e questo è un pregio che ho ancora oggi. So il mio valore, quindi non mi sono mai sentito sotto pressione in maniera negativa. Piuttosto ho sentito di più la responsabilità di guidare professionalmente per dei team importanti. Nonostante le gare del GT non abbiano mai avuto un ritorno mediatico così elevato quando arrivavo a quelle più importanti, tipo la 24h di Spa Francorchamps o del Nurburgring, ovvero quelle in cui le case costruttrici investono di più, mi sentivo un po’ più sotto pressione. E poi alla fine si tratta sempre di trovare il giusto compromesso: se vuoi vincere devi anche avere le persone giuste intorno, quindi devi affidarti a squadre importanti e da lì derivano grandi responsabilità.
Durante tutto il tuo percorso in monoposto hai corso con il supporto della Ferrari Driver Academy, che ti ha portato anche a provare una monoposto da Formula 1. Com’è stato avere il Cavallino della Ferrari sulla tuta?
Ferrari ha iniziato a supportarmi nell’ultimo anno di kart, nel 2009, e poi mi ha preso nell’Academy nel 2010 e ci sono rimasto per cinque anni. Sono stato un po’ sfortunato perché sono capitato negli anni in cui le monoposto non erano poi così forti, i tempi erano molto vicini a quelli che facevo in GP2. Però comunque è stata un’esperienza unica. Ho guidato anche la Sauber, ma in quel caso andavo veramente più veloce con la GP2! La cosa che però mi è rimasta più impressa del passare giornate in pista con i team di F1 è il lavoro che c'è dietro, vedere quante persone lavorino per un team di Formula 1: nessuno ci pensa mai e viverlo in prima persona te lo fa realizzare.
Poi però hai scelto il mondo delle ruote coperte. Perché?
Semplicemente perché non avevo altra scelta per crescere. In Indycar piuttosto che in Superformula ci volevano troppi soldi, e quindi l’unica scelta per andare avanti era il GT. Però non l’ho mai vissuto come un obbligo, l’ho accettato fin da subito. Avevo già fatto un test durante il mio ultimo anno in GP2 e mi ero reso conto di quanto fosse effettivamente interessante quel mondo. Se volevo far diventare i motori il mio lavoro era quella la direzione da prendere.
Con la Mercedes hai vinto tanto e il vostro matrimonio è durato ben sette anni. Come lo racconti adesso, con il punto messo a questo capitolo della tua carriera?
Con loro ho vinto tanto, tra i titoli nel GT World Challenge e nei vari campionati a ruote coperte come l’ADAC GT Masters, ma secondo me potevo vincere ancora di più. Non credo ci sia stata una formula precisa che ci ha permesso di collaborare per così tanti anni, piuttosto un insieme di mille fattori. Io sono sempre stato competitivo, loro sempre bravi nel darmi una vettura che mi permettesse di tirare fuori tutta la mia competitività.
Lo scorso anno nel GTWC ti sei aggiudicato il campionato overall ed endurance ed è stato forse l’anno della svolta. Chi ancora non ti conosceva ha capito il tuo talento. Cosa ha significato per te una conferma del genere?
Negli ultimi anni non è successo niente di che rispetto a quelli prima. Il GT però non aveva la risonanza mediatica che ha riscontrato nel momento in cui è arrivato Valentino Rossi. È un peccato che questo pubblico non ci fosse fin da prima, perché ad esempio nel 2017 guidai per 14 ore alla 24h di Spa, che è incredibile e se succedesse adesso farebbe sicuramente più scalpore di quanto riuscì al tempo. In generale mi fa molto piacere questa crescita del pubblico al di fuori della Formula 1, è un mondo che merita tanto. Poi credo che vincere sia anche relativo, perché in questi campionati vanno presi in considerazione il B.o.P, i compagni di squadra e la loro performance, e un sacco di altri fattori, e quindi per me è importante riuscire a lasciare un'impronta anche senza vincere. Che è complicato, ma speciale.
A proposito di Valentino Rossi, ad oggi è un tuo compagno di squadra vista l’ufficializzazione dei piloti BMW per il 2024. Di lui e della sua avventura in macchina cosa ne pensi?
Il livello che ha dopo solo un paio di anni al volante è impressionante. Sta sicuramente facendo molta fatica essendo principalmente un motociclista, ma alla fine sta andando bene, poi in BMW si vede che si trova molto bene, essendo la vettura dotata di un motore anteriore che solitamente è un pochino più semplice da gestire. È un talento a 360 gradi e si impegna davvero tanto. Quello che però ho sempre detto è che trovo sbagliato l’atteggiamento che alcuni hanno nel paragonarlo ai piloti più forti. Nulla da togliere a lui, ma è come se io andassi in moto e mi paragonassero alle leggende, sarebbe forzato perché comunque sarei più indietro di loro.
E pensi che l’arrivo in un campionato tanto importante come il WEC di un pilota come lui sia un bene per tutti o ci sono degli svantaggi?
L’anno scorso ho fatto delle interviste che sono andate un po’ nello scandalo su questo argomento, ma il mio non è mai stato un attacco contro Valentino, anzi, non c’entra niente. Io mi sono sempre riferito al fatto che ad alcuni giornalisti servirebbe un po’ più di imparzialità nella gente, dato che di quella non ne ho vista troppa dal momento in cui lui è sceso in pista con noi. È sicuramente un vantaggio il fatto che si porti dietro così tante persone, ma allo stesso tempo bisognerebbe trovarci un contro perché insieme agli appassionati veri arriva anche tanta ignoranza. Con il tempo però sono maturato e ho capito che è meglio guardare soltanto i vantaggi, mentre gli svantaggi è meglio lasciarli un po’ da parte.
La tua carriera ha molto da insegnare ai giovani che si approcciano al motorsport. Cosa diresti quindi a questi giovani piloti che si trovano nella situazione in cui eri tu qualche anno fa, quindi nella scelta di cambiare categoria?
A me onestamente dispiace vedere certi piloti, tipo Ralph Boschung o Luca Ghiotto, che si focalizzano troppo su una categoria sprecando un sacco di soldi e di tempo, portando magari anche le loro famiglie in difficoltà finanziarie senza mai arrivare a niente, perché comunque in Formula 1 non ci vai più. Bisogna rendersi conto che quello è un mondo un po’ particolare e che motorsport non vuol dire solo Formula 1. Non dico di accontentarsi, ma di cogliere le opportunità: se si è veramente appassionati e si vuole crescere o fare della propria passione un lavoro bisogna saper fare delle scelte. E il GT è pieno di occasioni da cogliere, anche se pure qui inizia ad essere complicato il mercato piloti: le case costruttrici stanno costruendo i loro programmi ufficiali e i posti sono sempre meno, ma la cosa bella qui è che comunque il modo di correre si trova. Si può affiancare un pilota amatore, correre nei Pro-AM: lo spazio c’è per tutti. Rispetto a qualche anno fa però mi rendo conto che la situazione sia un po’ cambiata, parlando con Gabriel Bortoleto, il campione di Formula 3, e con Luke Browning, che ha vinto il GP di Macao, mi sono reso conto che le ruote coperte stanno diventando sempre più apprezzate da tutti. Anche Kimi Antonelli è un buon esempio: lui ormai è in direzione Formula 1, ma ha comunque fatto qualche gara in GT e ogni volta che è in pista viene a trovarci nel box per curiosare. Secondo me è giusto essere appassionati in generale di tutte le categorie e tenersi sempre la porta ben aperta.
Tu l’occasione al tempo l’hai colta, ma ti penti mai di questa scelta?
No, e già dopo la seconda gara in GT avevo capito di aver fatto la scelta giusta. Io mi diverto, mi piace tantissimo fare quello che faccio e non mi pento. Se devo pentirmi di qualcosa direi qualche scelta presa prima, nelle formule propedeutiche, ma dal momento in cui ho cambiato categoria ho capito di aver trovato il mio posto.
E se ti chiedessero adesso di andare in Formula 1?
Ci andrei solo se si parlasse di Red Bull, Ferrari o case importanti. Se devo andare a fare il ventesimo posto in Sauber o Williams no, a meno che non si trattasse di un discorso di soldi o di fama. Ma anche in questo caso non credo, perché mi è già capitato di rifiutare categorie che mi proponevano grandi contratti, come la Formula E. Se non ho nemmeno il piacere di guidare la macchina neanche i soldi mi conquistano.
Guardando al futuro: il prossimo anno ti aspetta una nuova sfida con BMW. Cosa vuol dire per te essere pilota di una delle case costruttrici più prestigiose del mondo e come ti stai preparando?
Quando ho avuto l’opportunità di parlare con loro ero molto contento perché a differenza di Mercedes, che ha solo un programma GT, mi danno l’opportunità di mettermi al volante di una Hypercar o di fare il WEC. Ancora non so dove correrò nello specifico, ma sono pronto a tutto.
Non una sfida in realtà, ma due, perché diventerai papà! Come la vivi invece questa nuova avventura? Metterai in pista anche lei?
Il giorno che ho scoperto che sarei diventato papà ho vinto la gara, quindi tutti quelli che dicono che quando si fanno i figli poi si perdono decimi in pista non li ascolto! Sarà una femminuccia e un po’ ci speravo, perché non vorrei che facesse il pilota. In generale, avendo iniziato io prestissimo ed essendo molto giovane ancora vorrebbe dire che dal momento in cui smetto di correre io devo comunque andare in pista per seguire lei, quindi probabilmente impazzirei.
A tal proposito, ci sono sempre più bambine che corrono in kart, ragazze sugli spalti e in generale nel motorsport. Tu cosa ne pensi di questo incremento e di tutte queste iniziative che vengono svolte per avvicinare le donne ai motori?
Sarò molto diretto e onesto, a me non cambia niente. Se arriva una persona che merita, che sia maschio, femmina, di qualsiasi genere, orientamento, etnia o religione, non mi cambia nulla. Io voglio circondarmi di persone brave e di pilote brave è difficile trovarne, ma prima o poi so che ne arriverà una che batterà tutti, come arriverà magari un pilota dal virtuale e riuscirà a correre allo stesso livello degli altri.
Il prossimo anno sembra pieno di sorprese per te, quindi cosa ci dobbiamo aspettare da Raffaele Marciello nel 2024?
Io vorrei vincere tutte le 24h: sono venuto in BMW sperando di fare il WEC, quindi vorrei vincere a Le Mans. Allo stesso tempo però vorrei comunque rimanere anche nell’ambito di SRO che mi ha fatto da casa in tutti questi anni.