Altro che pioggerellina londinese e gentleman in giacca e cravatta: la crisi climatica ha trasformato Wimbledon 2025 in un forno rovente, con temperature record che fanno sembrare il Centrale più un’arena per gladiatori che il cuore elegante del tennis britannico. In mezzo a questo caos, c’è una sola costante: Jannik Sinner. Nel giorno in cui anche Jack Draper, coccolato dai media inglesi come l’erede di Murray, esce di scena al secondo turno, l’azzurro numero uno del mondo passeggia su Aleksandar Vukic: 6-1, 6-1, 6-3, con un ghigno appena accennato e nemmeno un capello fuori posto. Mentre gli altri si piegano per i crampi e friggono al sole, Sinner resta imperturbabile.
Ma il vero colpo di scena non è il risultato, è l’atteggiamento. Questo Jannik non è più quello che ha visto sfumare un sogno a Parigi, in quella finale contro Alcaraz persa dopo match point a favore. Quella sconfitta poteva spezzarlo, invece l’ha forgiato. Il torneo intanto diventa una trappola per big: fuori Rune, Musetti, Tsitsipas, Zverev, Medvedev. E mentre tutti arrancano, Sinner resta impermeabile alla pressione.
Ora lo aspetta Pedro Martínez, avversario abbordabile. Poi forse un nuovo derby azzurro contro Sonego, magari Djokovic che barcolla, ma non molla. E in fondo, se i pianeti dovessero allinearsi, Alcaraz: la rivincita potrebbe essere servita all’All England Lawn Tennis and Croquet Club. Dopo la terra rossa di Parigi qualcosa è evidentemente cambiato nell’atteggiamento di Jannik, e la rivoluzione che ha coinvolto il suo staff alla vigilia del torneo britannico ne è una conferma. Ha scelto, con decisione, di prendere il pieno controllo della sua carriera, e in campo si vede: niente gesti teatrali, zero nervosismo, solo precisione e determinazione. Si muove come se tutto gli fosse già familiare, anche se l’erba sotto i piedi scotta come il cemento. Oggi l’unico accenno di compiacenza e di interazione con il pubblico è arrivato dopo un punto ottenuto in corsa con un dritto a incrociare che ha spiazzato l’australiano dall’altra parte della rete.
Il suo Wimbledon è infatti iniziato non con i fuochi d’artificio, ma con la lucidità di un predatore a caccia: nessun gesto in più, solo scelte nette. Ha il volto fresco, lo sguardo fisso sull’obiettivo. In un torneo che ha perso ogni certezza, lui è diventato l’unico punto fermo. Gli manca solo la finale di Wimbledon per poter dire di averle giocate tutte. È tornato sul Centre Court, un anno dopo la sconfitta contro Medvedev, e in un’ora e 40 minuti ha spazzato via i fantasmi. Ha chiuso con due ace dopo essersi inceppato nel finale del terzo set, ma senza mai far trasparire tensione.
Oggi Jannik non cerca conferme, le impone. Non gioca per piacere, gioca per vincere. E in questo Wimbledon che assomiglia sempre meno a un torneo e sempre più a una prova di sopravvivenza, lui avanza. Silenzioso, letale, inesorabile.
