Da Marc Marquez ci si può aspettare di tutto: che passi al Team Gresini rinunciando a 12 milioni di euro e ad una squadra ufficiale o che si svegli una mattina dicendo che farlo sarebbe stato troppo complicato da fare. Paradossalmente siamo arrivati ad un punto in cui entrambe le scelte avrebbero un che di clamoroso: davvero una moto vincente vale più di dieci anni di carriera? E, d’altro canto, siamo sicuri che Honda sia disposta a perdonare questo comportamento da parte di Marc? Con tutte le probabilità siamo arrivati ad un punto di non ritorno.
Nel frattempo Honda - che resta uno dei riferimenti assoluti nel motomondiale - sta rivoluzionando il proprio reparto corse, sia in Giappone che sul campo di gara. Nuovi responsabili, nuovi ingegneri, nuovi reparti. Il prossimo a lasciare potrebbe essere il Team Manager Alberto Puig, che secondo alcune indiscrezioni verrà sostituito da Davide Brivio o, altra opzione certamente valida, da Livio Suppo, che con Honda ha vinto tutto - sia con Stoner che con Marquez - e conosce bene sia il lavoro dei giapponesi che quello degli europei, cosa che ha dimostrato vincendo anche con la Suzuki nella situazione più difficile per un uomo nella sua posizione.
E sarà un caso - perché le piste hanno aiutato - ma è proprio in queste ultime settimane che Joan Mir, uno che fino al mese scorso pensava al ritiro, è tornato veloce. Il due volte campione del mondo sembra di nuovo incisivo, focalizzato sull’obiettivo e concentrato sul futuro. La rinascita è cominciata in India, dove Mir è stato spesso più veloce del compagno di squadra ed ha chiuso con un 5° posto nella gara della domenica. È vero che il Buddh International Circuit ha aiutato i giapponesi - anche il podio di Fabio Quartararo non è un caso - ma è altrettanto vero che Joan ci ha messo del suo. Così come ci ha messo del suo in Giappone, dove ha portato a casa un 13° posto nella sprint del sabato e una 12° piazza la domenica condizionata però da un problema al casco: senza, con tutte le probabilità sarebbe arrivato più avanti.
Così, con un po’ di malizia, si potrebbe pensare che l’idea di non avere più un compagno di squadra così ingombrante nel box gli abbia regalato quella fiducia venuta a mancare nella prima parte di stagione. Honda, in questi anni, ha sempre considerato Marc Marquez come suo unico punto di riferimento: l’ha fatto quando accanto a lui c’era Pol Espargarò, ma anche con Jorge Lorenzo e Dani Pedrosa, per non parlare di Alex Marquez e del team satellite. Se è successo probabilmente è per un insieme di cose, dalla cattiva gestione di Alberto Puig - sempre troppo pilota per ragionare da manager - all’amara lezione imparata vent’anni fa, quando a guidare la Honda c’era Valentino Rossi. Quella volta i giapponesi diedero più valore alla loro moto che al pilota che la guidava, spingendo Valentino ad andarsene e trovandosi sottomessi a una Yamaha che fino all’anno prima sembrava inoffensiva. Ecco, con Marc Marquez questo errore non è stato fatto.
Piuttosto è stato fatto il contrario, ascoltando esclusivamente il fuoriclasse di Cervera nello sviluppo anche quando le sue indicazioni sembravano poco democratiche o quando - a raccontarlo è stato lo stesso Marquez - le indicazioni erano quelle di bocciare qualunque cosa potesse servire agli altri piloti. Così la RC212 è diventata difficile, poi su misura di Marc Marquez e ancora più tardi - quando Marc ha cominciato a saltare le gare per infortunio - inguidabile per chiunque. Ora che lo spagnolo sembra pronto ad andarsene, chi resta in Honda potrà finalmente imporre le proprie idee, trovare spazio, lavorare in maniera diversa. E, magari, questo divorzio farà bene anche ad HRC, non più assoggettata ad un uomo soltanto ma di nuovo padrona delle sue scelte. Il motorsport funziona a cicli: c’è stato quello Yamaha, poi Honda, ora Ducati. In Formula 1 è lo stesso, dal dominio Mercedes si è passati a quello Red Bull. E la sensazione è che HRC non continuerà a soffrire ancora a lungo. L’addio di Marc Marquez potrebbe essere l’ultima spinta necessaria alla rivoluzione.