Indignarsi è quasi sempre una presa di posizione becera, perché quando non lo è si tratta di idealismo e l’idealismo di questi tempi è finito da un pezzo. Non puoi essere idealista su Instagram, una multinazionale che ci fotte la privacy, scrivendo con un telefono costruito con il coltan estratto dai bambini del Congo. L’idealismo è un vizio costosissimo e nella nostra società siamo troppo poveri, o al limite troppo avari, per permettercelo. Invece, leggendo della tempesta mediatica che si è abbattuta su Jorge Martin in Spagna - e altrove, considerando diversi media di settore - sembra che indignarsi continui a essere la grande risposta ai nostri problemi. Indignarsi e denunciare, attaccare, sparare.
La storia è molto semplice: Jorge Martin viene invitato da Antena3, tra le televisioni più seguite in Spagna, per raccontare la sua stagione. Lui è allegro, in studio c’è anche la Ducati Prima Pramac con cui ha corso questa stagione. Prima spiega, con grande onestà, di aver perso il titolo per la sua superbia, quando si è sdraiato con tre secondo di vantaggio per dimostrare a Francesco Bagnaia di essere davvero migliore di lui: “Lo volevo umiliare”, racconta al conduttore Pablo Motos, che fa in Spagna quello che fa Jimmy Fallon negli Stati Uniti. “Mi sentivo superiore e ho sbagliato. Ho imparato che una gara si può vincere di due decimi o di dieci secondi ma che i punti guadagnati alla fine sono gli stessi”.
Poi certo, Martín non è uno stupido: caricare Bagnaia di una pressione ulteriore, facendolo sentire più lento, probabilmente avrebbe avuto qualche effetto sul campionato. Il discorso però è un altro. Jorge Martin fa il pilota, a dirlo è lui stesso quando spiega di aver tenuto il broncio alla fidanzata perché era riuscita a batterlo a backgammon. “Voglio entrare in ascensore prima di te”, aggiunge scherzando.
Per spiegare ancora meglio cosa significhi essere in MotoGP, Martín aggiunge che al netto del grande rapporto che lo lega ad Aleix Espargarò, l’uomo che lo ha aiutato quando di soldi per correre non ne aveva, di amici in griglia non ce ne sono: “Con lui ho un rapporto speciale, ma non pretendo di essere amico degli altri, sono miei rivali. Poi in pista sorpasso anche Aleix come e più degli altri. Marc Marquez una volta mi ha detto ‘O ti sposti tu o ti sposto io’, ed è così”. Il contesto, se non altro, andava menzionato.
Poi, la frase incriminata: “Eres muy peligroso, pero aquí... marica el ultimo!”. Tradotto letteralmente “È molto pericoloso, ma qui… l’ultimo è un recchione!”. Tradotto in un modo di dire sudamericano invece, marica el ultimo è una frase fatta comoda per quando c’è qualcosa di importante in palio e nessuno vuole arrivare in fondo. Il problema è che la gente questo non lo sa e a indignarsi ci mette meno ancora che a controllare. Come non sa che buona parte dei piloti in MotoGP non hanno finito la terza media, perché correre a questi livelli richiede una dedizione totale alla causa che, spesso, mette in secondo piano tutto il resto. Qui però il problema è più grande della MotoGP, dei suoi piloti e anche della loro bassa scolarizzazione. Il problema è che ci aspettiamo da chiunque lo stesso vocabolario e le stesse maniere: personaggi pubblici, sportivi, artisti, politici, grandi manager. Tutto viene messo allo stesso piano, tutti sono uguali. Invece non è così e, se proprio ci fosse impossibile rinunciare all’indignazione, sarebbe il caso di prendercela con chi le disparità sociali le ha sull’agenda politica, non con un ragazzo di vent’anni abbastanza pazzo da fare un mestiere in cui è prevista, messa in conto e accettata anche la morte.