L’immagine è quella di un ragazzo, un campione, piegato a terra sui gomiti e le ginocchia, con la schiena che segue quella strana curva lì di quando si fa fatica a respirare. A respirare e, dentro il casco, a vedere pure un po’ di luce dopo tutto quello che s’è passato e che ci si accorge di dover passare ancora. Sì, Jorge Martin ha immediatamente capito che la caduta a Lusail non sarebbe stata come una semplice scivolata e che anche questa volta, per la terza volta consecutiva, il destino ha giocato con sadica regolarità contro di lui. Aria che manca, nell’anima e nei polmoni, con le notizie che continuano a arrivare sul campione del mondo che raccontano che no, il calvario non è finito.

Lo ha detto ancora una volta, con umana crudezza, il dottor Charte che, ospite di El Laguero, ha lasciato intendere che difficilmente Martin sarà sulla sua Aprilia a Jerez, per il prossimo GP. “Undici costole fratturate sono un gran dolore – ha spiegato – c’è un emopneumotorace e un polmone che fatica a riaprirsi. Sì, Jorge è un guerriero, ma dobbiamo andare senza fretta anche se senza sosta. Ha piovuto sul bagnato”. Un modo quasi alla Dottor Costa per affiancare umanità al gelo di un referto secondo cui il campione spagnolo dovrà restare su un letto d’ospedale per almeno un’altra settimana, prima di poter volare e tornare in Spagna. A casa? No. A correre? Meno che mai. Probabilmente in un altro ospedale a fare quello che ormai è l’attività principale di Jorge Martin: ricominciare. “Era davanti a me – ha raccontato Fabio Di Giannantonio - ho visto solo il suo corpo a terra. A 200 km/h non puoi schivare nulla. E’ stata la cosa più spaventosa della mia vita”. Che i traumi riportati dal numero 1 dell’Aprilia sono dovuti proprio all’impatto con l’anteriore della Desmosedici del Diggia l’ha confermato lo stesso dottor Charte, aggiungendo che alla fine dei conti c’è pure da essere quasi contenti che non sia andata molto peggio.
“Proveniva da una grave lesione come quella dello scafoide – ha aggiunto - Si è ripreso in modo spettacolare, dato che non è una lesione facile da curare perché ha una scarsa vascolarizzazione. In Qatar ha superato il controllo a cui lo abbiamo sottoposto, ma ha avuto sfortuna. E’ rimasto mezzo accovacciato a bordo pista, un pilota ha l’obbligo di alzarsi immediatamente per evitare che si esponga la bandiera rossa, ma dalla Direzione di gara ci siamo resi conto immediatamente che stava succedendo qualcosa di strano. Alla fine della gara mi sono recato al centro medico e abbiamo visto le prime immagini degli esami. Inizialmente ci siamo occupati del forte dolore”. Ecco, il dolore. Quello delle ossa rotte, del respiro che manca. Ma pure quello di un’anima fiaccata che prende coscienza che sta succedendo ancora. Ancora e di nuovo. Dopo tutto.
“Historia vitae magistra” - scriveva Cicerone. La storia insegna, ma Jorge Martin sembra costretto a riscriverla ogni volta. E viene da chiedersi se nella testa di un campione non passi l’umano pensiero del “chi me lo fa fare, soprattutto dopo aver vinto?” a farglielo fare, probabilmente, è proprio l’aver vinto, la consapevolezza di poterci riuscire ancora e con un percorso ancora più glorioso. Competere sarà il verbo sempre per chi ha scelto di fare il pilota. Imparare a competere con i limiti del proprio corpo è, invece, la sfida che l’asfalto di Lusail ha rinnovato a Jorge Martin. Come è già successo a Marc Marquez, a Doohan o a altri grandi di questo sport. Ecco, vincere quella sfida, magari insieme a Aprilia, significherà diventare leggenda.