Ok Valentino Rossi, ok Casey Stoner, Jorge Lorenzo e Marc Marquez, ma se c’è un idolo assoluto che accomuna la generazione dei quarantenni di oggi innamorati del motorsport, quell’idolo è Kewin Schwantz. Lucidamente folle, veloce più dei suoi stessi pensieri e funambolico come solo uno tutto sangue e cuore sa essere. L’abbiamo amato tutti e non è un’eresia dire che il 34 è stato la radice degli anni d’oro delle corse in moto. Quel fenomeno americano, però, probabilmente non lo avremmo mai visto sopra una 500 da corsa se non fosse stato per un altro manico pazzesco: Barry Sheene.
A raccontare lo scontro (ma sarebbe meglio dire l’incontro) tra il 7 e il 34 è stato proprio Schwantz, in una intervista rilasciata in questi giorni e che sta facendo il giro del mondo: “Nel marzo dell'86, Steve McLaughlin viene da me a Daytona e mi dice: 'Ehi, vuoi partecipare alle Match Race?' Sono andato nel Regno Unito e la moto era una GSX-R750 appartenuta a Tony Rutter. Quell'anno non c'erano buone condizioni a Donington, pioveva, nevicava, nevischiava e ogni sorta di cose, quindi la moto era abbastanza veloce ed era un sogno guidarla in quell’inferno”. Altro che piloti attenti alla sicurezza in pista, più era pericoloso e più c’era gusto, stando alle parole del 34, che ricorda come proprio quella sia stata l’occasione in cui s’è trovato davanti a Barry Sheene.
“In quel fine settimana ci siamo conosciuti e dopo le gare Barry venne a parlarmi, proponendomi di non tornare negli Stati Uniti, ma di restare lì. Sarei stato ospite a casa sua e avrebbe provveduto a farmi avere anche qualche soldo. E’ così che è cominciato tutto – racconta ancora Schwantz – Poco dopo mi aveva procurato anche una 500 da gran premio, non mi sembrava vero, vivevo un sogno. Quell’anno corsi a Assen, Spa e Misano, il resto è storia”. Una storia che è diventata leggenda, anche se non è durata tantissimo, con il pilota americano che è anche riuscito a salire sul tetto del mondo nel 1993. “Una volta che ho iniziato a fare i GP a tempo pieno nel 1988 – ha concluso Schwantz - ho visto molto meno Barry alle gare, ma non abbiamo parlato molto e i nostri incontri stato sempre avvenuti nel box Suzuki, al GP del Giappone e in poche altre gare. Era uno che osservava tanto e parlava il minimo indispensabile: se pensava davvero che stavo facendo qualcosa di sbagliato in cui poteva aiutarmi, veniva e commentava. Ogni volta che tornava nel paddock, però, era lui la vera star e io mi dicevo sempre che avrei voluto diventare così: indimenticabile e amato".