“Anche Andrea Antonelli era dei nostri e anche lui ha trovato il suo destino sul più bello. Abbiamo circa 200 piloti tesserati con noi e non è la prima volta che ci troviamo a piangere: quando ne hai cinque o sei magari non ti succede mai, ma con centinaia di tesserati, purtroppo, le possibilità che capiti sono di più. La verità è che non ti abitui, non è vero che si diventa più freddi. E fa un male che spezza. Spezza proprio”. A parlare è Daniele Cesaretti, presidente del Moto Club Spoleto, a cui Luca Salvadori era affiliato da circa quindici anni. Ci risponde al telefono e è fermo in Austria, aspettando che passi un temporale, perché tra le lacrime sugli occhi e la pioggia sul parabrezza è difficile continuare a guidare. E c’è anche la stanchezza, oltre lo scoramento. “Eravamo a Volterra per una gara e domenica mattina all’alba abbiamo saputo quello che era successo. Ci siamo messi in macchina senza neanche parlare e siamo partiti. Dovevamo andare lì. Volevo andare lì e basta – ha raccontato – Siamo arrivati domenica notte e è stato lì che, nonostante lo sapessi da ore, ho realizzato che era successo davvero. Abbiamo portato un mazzo di fiori sul luogo dell’incidente e ora siamo in viaggio di nuovo per tornare in Italia. Che ti devo dire? Fa un male che spezza”.
La storia tra Luca Salvadori e il Moto Club Spoleto era cominciata quindici anni fa. E’ a Daniele e a una struttura che per il motorsport italiano è una vera e propria istituzione che molti piloti si rivolgono per trovare un appoggio che possa fare da supporto alla passione, sia con ambizioni da amatori che da campioni veri. “Max Biaggi è partito da noi. Danilo Petrucci è partito da noi. E di nomi se ne potrebbero fare una infinità, ma non servirebbe a niente. Soprattutto oggi, soprattutto adesso – ci dice ancora Daniele al telefono – Abbiamo un rapporto umano con tutti i nostri piloti, ma è chiaro che con qualcuno tutto è limitato alla passione per il motorsport. Ai come è andata in qualifica. O che problemi ci sono stati in gara. Robe così, insomma. Con Luca invece era una cosa del tutto diversa, l’empatia di quel ragazzo non era umana. Avevamo anche avviato delle collaborazioni e oggi forse mi viene da dire, non a posteriori, che probabilmente è molto più ciò che lui ha dato a noi di ciò che noi abbiamo dato a lui. Era innamorato perso di quello che faceva e anche in un mondo di orsi con le mani sporche del grasso dei motori era riuscito a farsi volere un bene assurdo. Abbiamo anche vinto tanto insieme e quest’anno era quello buono per il titolo del National Trophy, l’aveva inseguito per anni nelle 1000 ma c’era stata sempre una grande sfiga. Ora sarà campione, grazie a un bel gesto, ma il nostro campione non c’è più. Tirava fuori la parte dolce anche da chi sembrava non averne. Non riesco a togliermi dalla testa quello che ci ha detto dopo l’ultima gara”.
Sì, c’è un episodio che Daniele racconta e che spiega, ancora una volta, che contro il destino c’è niente da fare. Luca avrebbe dovuto partecipare, nell’ultimo fine settimana, a una corsa in salita: aveva detto che ci sarebbe stato. Dopo l’ultimo appuntamento con il Moto Club Spoleto, però, proprio incontrando Daniele, gli aveva confidato di averci ripensato. “Forse era lunedì o martedì, non ricordo – racconta il presidente Cesaretti – Venne a dire, con quella faccia sorridente e furba, che sì s’era impegnato a esserci nell’appuntamento italiano, ma che c’era questa gara in Germania e che, quindi, ci aveva ripensato. Aveva gli occhi di uno innamorato: le corse su strada gli avevano preso l’anima e posso solo capirlo. Ovviamente gli abbiamo detto che rispettavamo la sua scelta e che, anzi, eravamo contentissimi di vederlo così entusiasta. Oggi mi chiedo se avessi dovuto, e se avessi potuto, fermarlo. Ma la verità è che no, non avrei potuto e non avrei nemmeno dovuto. Parlavamo spesso di questa sua nuova avventura e era consapevole dei rischi. Quelli che oggi pontificano sulle corse su strada o sui pericoli in genere del motorsport non voglio neanche ascoltarli, perchè aveva detto bene Luca in uno dei suoi ultimi video: quelli che parlano, parlano perchè non posso capire. Tutto si può dire di uno come Luca, tranne che fosse un incosciente o uno che faceva cose senza ragionare. Pensava più di quanto andava forte e era uno che andava forte davvero, non arrivi a un mondiale e non vinci quello che ha vinto lui se non hai un gran talento. Era felice e questa adesso è l’unica consolazione. E è anche una spinta per tutti noi a andare avanti”.
Sull’incidente, su quello che è realmente accaduto, s’è detto poco e le notizie sono state frammentarie. Daniele, però, è andato lì e ha potuto farsi una idea. “Sì, un’idea me la sono fatta, ma è tutto sotto sequestro e c’è una indagine, quindi non c’è molto da dire. E poi non mi va che si finisca per strumentalizzare: c’è chi è già al lavoro per definire bene tutto e accertare tutto quello che c’è da accertare. Quello che conta adesso è altro e è che Luca, purtroppo, non c’è più. L’ho detto e lo ripeto: questo spezza. Spezza sapere anche che ha lottato come un guerriero: dopo il trasporto in ospedale, nonostante tutte le lesioni interne, c’è stato un lasso di tempo in cui è tornato tra noi. Poi è precipitato tutto di nuovo. E’ morto a notte inoltrata”.
Sulla dinamica, come già accennato, ci sono indagini in corso e il poco che si riesce a sapere arriva dal racconto di un pilota che era poco dietro la Ducati di Luca, in quel maledetto primo giro della finale IRRC. Il tracciato cittadino gira molto a sinistra e le curve a destra sono poche, è possibile che le gomme ancora fredde su quel lato abbiano influito e non poco nel disegno del destino. “Ho visto bene il punto – racconta Daniele – l’asfalto, quando siamo arrivati noi, era strano: un po’ umido. Luca era in bagarre con un pilota locale, giocandosi la prima posizione. Pare abbiano lottato a lungo per tutto il giro e l’altro pilota in quel momento lì gli era un po’ davanti, ma questione di poco. Non si capisce bene se si sono anche toccati o meno, ma il ragazzo che era dietro di loro avrebbe raccontato, per quanto ne so, che Grams ha avuto un highside e nel botto è rimasto coinvolto anche Luca. In quel punto lì si va forte davvero, sicuramente oltre i 220 km/h. C’è il muretto di una casa e davanti a quel muretto c’erano delle protezioni di paglia di quelle che, questo lo dico a titolo personale e pregando di non essere strumentalizzato, in Italia non ci sogneremo mai di mettere. Ho gestito il Campionato Italiano di Velocità tempo fa e sono nelle corse da tutta la vita: è vero che le corse in salita sono una cosa diversa rispetto alle vere e proprie road race, ma sulla sicurezza credo di poter dire la mia dopo anni e anni di lavoro anche a contatto con ingegneri e esperti della sicurezza. E la dico. Perchè è vero che andando lì tutto sembra fatto alla perfezione, ma un occhio esperto qualche cosa che si poteva fare meglio la nota. Anche in Italia si utilizzano le balle di paglia, ma quelle piccole, che creano anche una intercapedine d’aria, non quelle lunghe due metri e cinquanta e alte un metro e qualcosa come quella su cui ha impattato Luca. Quelle proteggono se ci arrivi piano, ma se ci arrivi forte sono inutili. Forse lì si poteva tendere anche una rete, come si fa nello sci e come in Italia nelle corse in salita facciamo da tempo. Forse sarebbe successo lo stesso, non voglio dire che non sarebbe successo e che oggi non avremmo pianto. Ma ci penso. Ci penso e mi spezza”.