Sin dalla sua nascita, il motorsport ha goduto dello status di sport spettacolare, se non fosse che è risaputo, tra tutti coloro che lo pratichino o ammirino, che quest’ultimo è altrettanto pericoloso. Un aspetto, questo, ben rappresentato dalla celebre frase “Motorsport is dangerous” spesso protagonista di manifesti e pubblicità, volti a rimarcare quanto il rischio, il pericolo o addirittura la morte siano sempre dietro l’angolo. Una frase, dunque, che spesso viene utilizzata come monito, ben impressa nella mente di tutti gli appassionati; perché, se è vero che la sicurezza negli ultimi anni ha compiuto passi da gigante, la componente del rischio, della fatalità mai potrà essere del tutto annullata.
Sembrerebbe un ossimoro, eppure nel corso degli anni, l’evoluzione della sicurezza, in pista e fuori, si lega, purtroppo, soprattutto ai numerosi incidenti, spesso fatali che hanno marchiato la storia dei motori: la tragedia di Senna, l’incidente costato poi la vita al giovane Jules Bianchi o la morte di Anthoine Hubert a Spa, durante una gara di Formula 2; un’evoluzione non sempre lineare, anzi, spesso forzata dalle tragedie verificatesi. Un legame, questo, conosciuto anche dai tanti estimatori della 24 Ore di Le Mans: seppur oggi rappresenti un vero e proprio spettacolo mondiale, nei primi anni di gloria della gara spesso si registravano incidenti fatali che coinvolgevano anche i numerosi spettatori presenti lungo tutto il tracciato. Incidenti tanto frequenti da far nascere persino il mito della clinica del dottor Delagénière, l’uomo dei miracoli tanto conosciuto a Le Mans.
Quando si parla della classica gara francese però, il tema della sicurezza non può non essere legato ad un’edizione nello specifico, quella del 1955: una gara che prometteva, grazie al grande numero di case costruttrici presenti, un grande spettacolo. Spettacolo che, a posteriori, fu tale solo fino alle 18:26 del pomeriggio, quando questo si tramutò in un incubo. Qualche secondo prima, durante una fase di doppiaggio, una carambola venne innescata dalla la Jaguar D-Type di Mike Hawthorn che, dopo aver doppiato la Austin-Healey di Lance Macklin, frenò bruscamente per entrare in corsia box. Una frenata così brusca da far perdere il controllo della propria Austin a Macklin che, incolpevole, venne centrato dalla Mercedes 300 SLR di Pierre Levegh: l’impatto è forte, con la Austin-Healey che per qualche attimo di secondo si trasformò in rampa per la Mercedes che, a quel punto, prese il volo sino a schiantarsi contro la barriera che divideva la pista dalla tribuna prendendo fuoco. Purtroppo, però, alcune componenti della Mercedes oltrepassarono le recinzioni, troppo basse per contenere l’impatto, finendo per colpire i numerosi spettatori presenti in quella zona del circuito. L’incidente causò, oltre alla morte di Pierre Levengh, il decesso di ben 83 persone e il ferimento di altre 120. Tra i morti, figura anche il nome di Pierre Rouchy, il più giovane alla tenera età di 11 anni. Rouchy, come tanti altri, stava ammirando l’azione in pista insieme alla sua famiglia quando l’incidente si verificò.
A seguito della gara, un inno al cambiamento e ad una maggiore sicurezza venne messo in atto: una richiesta che diede il via ad una prima grande rivoluzione non solo del circuito de la Sarthe, ma anche di tutte le zone che lo circondano. L’equivalente di 11,2 milioni di euro fu investiti dall’Aco, l’organizzatore della gara, affinché tanto la pista quanto le aree limitrofe fossero modificate e rese maggiormente sicure; i box, con le annesse tribune, furono rasi al suolo e rimpiazzati da nuove strutture oltre che da una nuova pit lane, decisamente più larga della precedente; dall’altro lato della pista furono costruite nuove e più imponenti barriere, furono spostate indietro le tribune già presenti e affiancate anche in questo caso da nuove che avrebbero reso maggiormente piacevole l’esperienza degli spettatori, così come furono installati nuovi dispositivi per la segnalazione di pericoli lungo tutto il tracciato.
Anche le regolamentazioni in merito alle vetture ammesse furono riviste, con l’obiettivo di aumentare la sicurezza in pista e tutelare l’incolumità dei piloti, pur assicurando lo spettacolo che sino a quel momento aveva caratterizzato la gara francese. Un impegno enorme, che si traslò in un debito di circa 300 milioni di franchi, ritenuto necessario dagli organizzatori al fine di rafforzare la percezione positiva della massa sull’evento. Dunque, quella del ’55 può essere etichettata come una delle prime grandi rivoluzioni in materia di sicurezza nello sport, un aspetto su cui, giorno dopo giorno, non si può mai smettere di lavorare. Perché sì, il motorsport è pericoloso, ed è anche grazie all’attenzione verso tale tematica se al giorno d’oggi le competizioni fino all’ultimo centesimo di secondo sono possibili.