State leggendo un’anticipazione del reportage in uscita nei prossimi giorni. A questa corsa succedono troppe cose per essere raccontate in una volta sola.
La 24 Ore di Le Mans è enorme, totalizzante, estrema. Sono in sala stampa, la stessa che si usa in MotoGP, a raccogliere qualche idea dopo le prime quattro ore di gara. Vivo nel paddock dalle 9 di mattina del sabato, so che ci resteremo fino alle 19 di domenica. 34 ore, buona parte delle quali con gli occhi aperti, qualcuna passata con un flute in mano, altre a bere Red Bull da una lattina gelata. Gli orari diventano ininfluenti, come se vivessimo tutti in una gigantesca nave da crociera. A spiegarmi come funzionano le cose qui dentro c’è Alessandro Barlozzi, responsabile media di Michelin Motorsport. Alessandro questa gara ha imparato a conoscerla e a gestirla negli anni.
La corsa parte alle 16 del sabato, eppure gli equipaggi sono a Le Mans dal giovedì precedente per tutta una serie di operazioni che cominciano col pesage, il peso del pilota con tuta, casco e il resto dell’equipaggiamento. A spiegarmi questa procedura è Alberto Tebaldi, amministratore delegato della VR46, grande amico di Valentino Rossi, sempre con lui da quando corre in auto. Ci incontriamo in griglia di partenza, lo trovo appoggiato al muretto davanti alla 12° casella per sorvegliare quel mezzo da corsa col numero 46 e l’etichetta LMGT3. Questo succede durante la Grid Walk, momento in cui la griglia di partenza apre al pubblico, due ore e mezza prima del via, per chi può entrarci. Un bel po’ di gente per la verità, così il rettilineo si trasforma in qualcosa di impensabile: piloti, meccanici e auto sono circondati da un’infinità di situazioni paranormali. Ci sono le ballerine brasiliane con l’orchestra al seguito, una compagnia circense, dinosauri gonfiabili, le ragazze che ballano il can-can e poi una folla enorme che viaggia in più direzioni concentrandosi attorno alle auto. I capannelli di gente sono soprattutto per le hypercar e, appunto, per la macchina di Valentino Rossi, per l’occasione è condivisa con Maxime Martín e Ahmad Al Harthy. Albi è gasato dal casco speciale di Valentino ma si aspetta una gara difficile, ne parla guardando i nuvoloni che si avvicinano sul circuito: “C’è questa cosa del BoP (Balance of Performance, ndr.) che qui ci penalizza parecchio, vedi che alcune macchine ci passano tranquillamente sul dritto. È un peccato, poi sai: giocano tutti a nascondersi, a noi invece piace spingere sempre e a volte questa cosa non aiuta più di tanto”. La 24 Ore della 46 comincia con Maxime Martín alla guida, a cui seguiranno gli altri. Ogni squadra, spiega Albi, fa la sua strategia coi piloti, quindi può succedere che il tuo uomo più veloce si debba confrontare con quello più lento della squadra avversaria e viceversa.
Valentino arriva al box poco prima del suo primo turno alla guida con un BMW CE 02, uno scooter elettrico. A piedi lo raggiungono Max, Uccio, Francesca. Ridono, entrano nel box con la disinvoltura di uno che è andato dal tabaccaio per comprare le sigarette. Fa effetto perché la struttura, enorme e nera, è sorvegliata dai bodyguard, servono pass specifici, la porticata è piccola. Dopo un po’ arriva Camilla Fratesi: una Sony A7 per i video, una Leica per le foto. Le chiedo se ha mai pensato di girare con una di quelle imbracature in cuoio che si vedono ai matrimoni, lei mi guarda come se fossi scemo e poi ride: “C’è un limite a tutto”. Camilla, camilss su Instagram, produce da una vita video e immagini per Valentino Rossi e l’Academy. Conosce i circuiti, le situazioni di gara, le idee dei piloti. Ci apre una porticina ed entriamo. Due giornalisti italiani, gli unici trapiantati dal paddock della MotoGP.
Sono passate tre ore e mezza dal via della 24 Ore, stiamo entrando nel box di Valentino Rossi e Albi ci sta concedendo un giro nell’enorme struttura di WRT. Le squadre, ci racconta, sono venute in circuito un mese prima della gara per costruire le enormi strutture all’esterno dei box con cui ampliare l’area di lavoro. Dentro c’è abbastanza attrezzatura per far decollare un missile di Elon Musk caricato con turisti miliardari: ci sono un paio di sale in cui file di ingegneri lavorano su decine di monitor per leggere la telemetria in diretta. In un’altra stanza le strategie, in un’altra ancora tutto ciò che riguarda le Hypercar. WRT corre con 4 macchine, due prototipi di categoria massima e due LMGT3, che poi sono quelle in cui è impegnato Valentino Rossi. A vederla così, la gente di Vale, ti viene in mente il reportage di Moreno Pisto qui su MOW, in cui viene raccontata proprio una gara endurance del Fanatec. Prima di pubblicarlo Moreno mi mandò il testo, lo lessi durante un volo intercontinentale per l’Indonesia. Tra una cosa e l’altra di quella storia mi è rimasta una considerazione, una promessa: devi andare, una volta devi vederlo con i tuoi occhi. È tutto vero, reale, lo stesso effetto che si può provare a leggere la sceneggiatura di un film prima di vederlo in sala. Solo che questo non è il Fanatec, è il WEC. E, nello specifico, è la 24 Ore di Le Mans, che ha più di un motivo per essere una competizione unica nel suo genere.
Finito il nostro giro turistico ce ne andiamo nel box, coi meccanici. Albi ci lascia un angolino coperto e pensato per gli ospiti in cui ci sono due monitor - uno per i tempi e uno per le immagini - e un telecomando appeso alla parete. Passa Cami, ci dice che tra poco entra Vale. Aspettiamo cinque, dieci minuti, qualcosa di più. Valentino Rossi arriva, saluta tutti, si prepara assieme ai suoi uomini che nel frattempo si sono messi il balaclava. Poi si siede ad aspettare e la sua gente sembra rilassarsi con lui, sembra anzi che tenti di rilassarsi senza riuscirci. Uccio scherza, Max è nervoso, Albi cammina per il box a lunghe falcate, Francesca sta appoggiata a una colonna a guardare i monitor. E come se tutti sapessero di essere testimoni del momento, di trovarsi dentro alla storia e di non volerla impedire. Vuoi vederla ma non rovinarla, starci dentro ma non influire. Il punto: Valentino continua a dare significato alle corse, motivo per cui tu sei lì e sai che è una roba grossa perché può sempre capitare qualcosa di imprevedibile, di irregolare. Lo dice anche Alberto Tebaldi. L’ha fatto con l’Aprilia, la Honda, la Yamaha. Con l’auto da rally, la Ferrari di Schumi, quella di Lewis. E poi con l’Audi, ora la BMW. L’ultima a Misano, con una vittoria che ha quel profumo lì delle cose di una volta, di Vale col casco giallo e un bersaglio sulla schiena, il solito da trent’anni, quello a cui tutti, nelle corse, vorrebbero sparare almeno una volta. Lui, magistralmente, se ne fotte, accelera, corre. Scherza sempre, eppure mentre compete è serissimo.
Il momento in cui si alza dalla sua seggiola cambia tutto. Intorno c’è il casino, è la 24 Ore. Eppure è come se lui fosse da un’altra parte, come se la tuta e il casco fossero quelli di un astronauta. È lì, ti vede ma è assorbito dalla sua cosa, lontanissimo. Magari pensa all’odore della macchina quando ci entrerà, a come prendere il cordolo della curva sette. Magari pensa a quando tornerà nel motorhome con la sua donna. C’è grande intensità in questa preparazione e non serve avere fantasia per capire come mai Valentino, esattamente come tanti altri piloti, ha sviluppato una complessa serie di abitudini per sopravvivere: hai il mondo addosso, un sistema fatto di decine o centinaia di persone che hanno lavorato per te, altre che hanno investito del tempo e speso dei soldi per vederti fare la tua cosa, quella cosa lì, speciale. Ed è il tuo momento. Ecco perché i piloti sono egoisti: come farebbero altrimenti a sopravvivere?
Vale beve un po’ d’acqua, lascia la borraccia. Si comincia a sistemare le mutande davanti, poi dietro. È esattamente quello che gli abbiamo visto fare in piedi sulla moto, per vent’anni, in uscita dalla pit lane. Ora ha meno rituali, questi però ci sono ancora. Gli ultimi minuti sono in apnea. Valentino Rossi sale in macchina alle 19:44 del sabato, dopo che Maxime Martín ha corso tre ore, consegnando la BMW in prima posizione. Cami ci dice che Vale farà due stint. Puoi pensare che Vale abbia scelto un compagno che è un fuoriclasse, perché effettivamente il BoP rende la macchina #46 visibilmente più lenta di altre sul lunghissimo rettilineo delle Hunaudières, eppure Maxime l’ha messa davanti a tutti. Invece, quando Valentino Rossi torna ai box per il cambio pilota e la macchina è ancora in prima posizione, capisci che il fuoriclasse è quello lì, con la tuta azzurrina che è quasi Gulf mischiata al giallo con cui ha evidenziato le sue corse. Checcazzo, Vale. Uno che poteva andare in vacanza, costruire fuoriserie da sceicchi, stare dietro al suo team in MotoGP. No, questo è l’uomo che il suo team in MotoGP lo segue solo quando non deve correre in pista. È l’uomo nato per questo e non l’ha mai fatto solo per esserci, quanto per stare davanti. Entra in pista, Valentino, per tagliare i tempi con l’accetta, poi con il coltello e alla fine col bisturi, un lavoro spaventoso, sicuramente maniacale, da disturbati. Però è bello vederlo girare un’ora, due.
Dopo otto ore con la #46 principalmente in testa nella categoria LMGT3, l’idea che la prima 24 Ore di Le Mans di Valentino Rossi possa essere anche quella della vittoria comincia a farsi concreta, nessuno lo dice ma tutti l’hanno pensato più di una volta. Abbiamo appena lasciato un baracchino a bordopista quando, dalla radio che trasmette la cronaca dell’evento, scopriamo che Ahmad Al Harthy l’ha lanciata contro un muro, cosa per altro già successa alla 6 Ore di Spa corsa a maggio. Nessuna riparazione possibile, neanche perdendo tempo. L’asfalto umido, il buio della notte e le gomme da asciutto non hanno aiutato, ma questa è la 24 Ore ed è con lei che devi saperti confrontare. Chissà come fanno, i piloti che sono egoisti, ad accettare gli errori degli altri.
La risposta di Vale è in un’altra corsa, un’altra sfida per un’altra possibilità di vincere, come fosse uno scommettitore. E così oggi Valentino Rossi è in Belgio, per la 24 Ore di Spa. Andate a vederlo, se potete. Andate perché è tutto vero e anche qualcosa in più.