Ci sono tornei che si vincono e altri che si scrivono. Quello di Lorenzo Musetti a Monte Carlo è stato un romanzo di formazione. Non uno di quelli pieni di virtuosismi e incanti estetici – quelli che Lorenzo ci ha abituati a sfogliare con rovesci d’autore e tocchi di velluto – ma una storia più asciutta, più concreta, dove a parlare non è tanto la bellezza del gesto quanto la profondità del cambiamento. Arriva un punto, però, in cui il talento incontra il dolore. È lì che oggi Lorenzo Musetti ha perso la finale sulla terra rossa del Principato contro Alcaraz. Un 6-3, 1-6, 0-6 che dice poco di quanto sia stata intensa e vera la partita. Un risultato che si è spezzato sul fisico – il suo – ma che è stato costruito con testa, cuore e coraggio.

Una sconfitta che fa male, anche perché era iniziata con un primo set quasi perfetto, giocato con lucidità e coraggio, che aveva fatto tremare lo spagnolo. Alcaraz, lo si è capito da subito, non era tranquillo: reduce da mesi complicati, da sconfitte che lo avevano fatto vacillare, sembrava rivedere gli spettri del passato. E per un’ora abbondante, l’azzurro li ha incarnati tutti.
Poi però la luce si è spenta. Il secondo set scorre troppo velocemente: ancora una volta Alcaraz strappa il primo game al carrarino, ma questa volta sale di intensità e convinzione. Sposta da una parte all'altra del campo l'italiano per poi attirarlo a rete e punirlo. Il tutto mentre l'angolo di Lorenzo continua a chiedergli di spingere e tenere il nuovo n.2 del mondo lontano dal campo. Musetti si intestardisce ed evita il “donut”, ma iniziano a esserci i primi veri segni di cedimento, non di testa stavolta – e questa è la vera notizia – ma di gambe. L’ultimo atto della finale di Monte Carlo è una discesa fisica interrotta all’inizio del quarto game dall’intervento del fisioterapista richiesto da Musetti. Le gambe non reggono e la partita sfugge via. Il torneo no, quello resta.
Resta la vittoria in rimonta su Bu Yunchaokete all’esordio. Resta la solidità con cui ha superato Lehecka, la freddezza nel gestire il derby con Berrettini, la maturità tattica mostrata contro Tsitsipas, e il cuore messo in semifinale contro de Miñaur. Soprattutto, resta un nuovo modo di stare in campo: meno artista, più architetto. Meno bellezza, più struttura. Ha sofferto, si è difeso, ha rimontato. Ha costruito ogni match un pezzo alla volta, limando le sbavature, gestendo la pressione come mai aveva fatto. Il talento non è andato da nessuna parte, ma si è messo al servizio della solidità portandolo a un passo dalla storia.
Da lunedì Lorenzo Musetti sarà il numero 11 del mondo. Non ancora nella top-10, ma abbastanza vicino da sentirne il respiro. Il suo romanzo di formazione non si chiude a Monte Carlo: si arricchisce di un nuovo capitolo, il più importante finora, fatto di pagine più mature in cui il talento smette di cercare l’applauso e inizia a guardare negli occhi la vittoria. Oggi sulla terra rossa Lorenzo non ha perso un titolo, ha lasciato l’impronta di ciò che potrebbe diventare.
