Alla fine del film “I Predatori” l’intellettuale Pierpaolo Pavone (Massimo Popolizio), steso su un lettino a bordo piscina tra i fumi di una serata trascorsa con gli amici di una vita, chiude gli occhi e dice: “Io comunque vorrei essere Roger Federer, ma mica perché ha vinto più di tutti eh, perché poteva vincere molto di più”. Calca l’accento sulla vocale tonica di “molto”, che diventa mooolto, per esprimere un’esagerazione che accarezza l’infinito.
Da oggi si può pensare la stessa cosa di Pecco Bagnaia. Magari esprimeremo il concetto ai nostri amici tra qualche anno, non esattamente oggi, domenica 17 novembre 2024, giorno in cui Pecco ha definitivamente perso il titolo mondiale. Perché oggi la risposta “ma come, vuoi perdere?” sarebbe dietro l’angolo e noi non avremmo l’energia di controbattere, di spiegare che non è proprio così. Non saremmo nemmeno supportati da una di quelle calde notti d’estate, che ti permettono di addormentarti guardando il cielo, mentre gli orizzonti si confondono e le prospettive cambiano.
Pecco Bagnaia non ha vinto il titolo mondiale 2024 per soli dieci punti, che in un campionato di nove mesi, venti gare e altrettante Sprint Race equivalgono a perdere una partita di tennis lunga cinque ore per un rovescio che sfiora la riga bianca, senza toccarla. Lo sport, un po’ come la vita, si gioca sui centimetri, che troppe volte in questa stagione hanno condannato Pecco: quell’avvallamento calpestato in curva nove a Sepang, quei contatti con Brad Binder e con i fratelli Marquez, traiettorie che si incrociano nel punto sbagliato al momento meno opportuno.
Li vedi ancora quegli episodi maledetti nel post gara di Barcellona. Ronzano nella testa di Pecco e passano nitidi, frame by frame, tra i suoi pensieri. I suoi occhi, lucidi, si trasformano in grandi schermi led che trasmettono in sequenza le moviole di quelle cadute senza le quali Bagnaia forse piangerebbe lo stesso, ma di gioia. Sembra sul punto di scoppiare Pecco, ma non scoppia, almeno non davanti alle telecamere: piange senza versare lacrime, bloccato da sentimenti che si accavallano, che si scontrano, come perturbazioni che non scaricano pioggia. Da una parte ci sono quattro errori, dall’altra quattro sfortune e poi – come un lampo – si inseriscono le sette vittorie al sabato e le undici alla domenica. È impossibile scindere, distinguere, capire se a Pecco Bagnaia faccia più male l’occasione sprecata in sé o se quelle diciotto meraviglie allievino il dolore.
In altri tempi, vincere diciotto gare, sarebbe bastato e avanzato. Non quest’anno, non contro questo Jorge Martín in versione muro di gomma. A lui Bagnaia concede la scena, spostandosi e rimpicciolendosi nel parco chiuso del Montmeló. Lo abbraccia, gli sorride, gli lascia il numero 1, una foto ricordo e qualche pacca sulle spalle. Poi Pecco completa la trafila delle interviste debuttando sempre con le congratulazioni al rivale, precisando che Jorge merita per davvero, e non lo dice come se dovesse inghiottire un rospo. Lo fa con eleganza, costellando i complimenti allo spagnolo di preamboli sinceri, di parole misurate. Solo alla fine Bagnaia torna sulla sua stagione agonistica, che le mezze misure non le ha mai avute.
Alla fine, come è accaduto diverse volte con Roger Federer, riguardi le immagini salienti della partita, leggi il numero dei vincenti sul foglio delle statistiche e ti sembra impossibile che a trionfare non sia lui. Così il 2024 di Bagnaia, sconfitto nonostante la quantità esuberante di delizie regalate al pubblico. Pensi che Pecco, proprio per questa non-vittoria, abbia compiuto un passo da gigante verso la porta principale di un club ristretto in cui possono abbonarsi solo le leggende. Ha tutti i requisiti: vince nel giorno della sconfitta più bruciante, resta al centro della scena anche quando vorrebbe lasciare spazio agli altri. Come un tiranno, ma di quelli gentili, garbati, principeschi. In fondo lo sa anche lui: “Sono ad un punto della carriera in cui non guardo i numeri, sono giovane e ho davanti almeno altri dieci anni di gare. Darò tutto, ci proverò. Non la considero davvero una sconfitta, perché abbiamo corso bene”.
Ecco allora che vorresti essere Pecco Bagnaia, anche in questa fredda domenica di metà novembre dalle sfumature tristi. Vorresti essere imperfetto, dispiaciuto, smarrito, a tratti dilaniato e allo stesso tempo maturo, consapevole e composto come lui. Vorresti che le tue occasioni sprecate non siano vane, che possano almeno rendere felice qualcun altro. Qualcuno da abbracciare, qualcuno da cui imparare. Vorresti essere Pecco Bagnaia soprattutto perché uno come lui potrà vincere mooolto di più. Così tanto da rendere le sconfitte capoversi necessari per raccontare una bella storia.