Ho visto il video di Luca Salvadori diverse volte e credo che possa essere tranquillamente considerato il nuovo manifesto per la promozione e sensibilizzazione sul tema della salute mentale. Ci sono almeno tre punti (sono molti di più, ma cerchiamo di sintetizzare) che ha affrontato e che val la pena di rimarcare. Questi tre punti non seguono la linea cronologica del suo video, non vanno in ordine di importanza, ma seguono la mia linea di pensiero come professionista prima e essere umano poi.
Anzitutto il tema del confronto che ha voluto portare in video. Luca racconta la sua storia, il suo primo attacco di panico, le successive somatizzazioni e il percorso terapeutico sottolineando che non vuole la compassione, ma che il tema è ancora troppo tabù. Perché è da sottolineare il tema della compassione?
Semplicemente perché chi ha sofferto o soffre di problematiche relative al benessere mentale, non sta cercando compassione, non vuole la compassione, ma vuole comprensione.
Comprendere significa conoscere, recepire e utilizzando un termine utilizzato troppo spesso e molto male, empatizzare con chi vuol raccontare il proprio dolore, il vissuto e tutto ciò che ne segue. Salvadori ha, infatti, raccontato con estrema sensibilità l’appiattimento emotivo successivo al primo attacco, la scarica d’inquietudine appena svegli e il forte senso di sconforto in luoghi e situazioni prima tranquilli. Ha narrato con semplice linearità quella situazione molto comune, della “speranza” di trovare un problema organico al posto di quello mentale, perché il mal d’organo è più “socialmente tollerato” rispetto al disagio della mente. Salvadori riporta anche i dati dell’UNICEF, dove si evidenzia che un ragazzo su sette soffre di disturbi mentali. A questi dati potremmo aggiungere quelli della Fondazione Veronesi, dove si sottolinea che le difficoltà mentali e di stress subite col Covid, continueranno anche nel lungo periodo, ma già si evidenziano oggi.
In studio preliminare basato un campione di 2.400 persone, si è rilevato che nel periodo di pandemia il 21% degli intervistati ha notato un peggioramento nei rapporti con il partner e il 13% con i propri figli. Inoltre, il 50% del campione ha rivelato di aver subito un incremento della fatica percepita durante lo svolgimento di attività lavorative e il 70% degli studenti ha invece dichiarato un sensibile calo della concentrazione nello studio.
Se non bastano i dati, possiamo aggiungere quelli dell’OMS, del Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi, dell’ Istituto Superiore di Sanità e di un’altra mezza tonnellata di sigle nazionali e internazionali, che sottolineano il disagio del momento e di come questo avrà ripercussioni importanti anche in futuro, aprendo un altro punto che Salvadori tratta sul finale e che tratta molto bene: il fallimento della politica sul bonus psicologico.
La politica aveva la possibilità di approvare un aiuto, un sollievo economico per chi non ha le possibilità ma vuole superare il malessere perché da una parte l'assistenza all'interno del servizio pubblico è ancora insufficiente, o per la mancanza di fondi, o comunque per i lunghi tempi di attesa. Dall’altra l'assistenza privata, per i costi, rimane inaccessibile a molti, se non proibitiva. In più aggiungiamo che spesso i professionisti, sia psichiatri, che psicologi e psicoterapeuti, vengono ancora percepiti come futili o poco importanti, se non quando il malessere si è amplificato in modo talmente ampio da compromettere diverse sfere della propria vita. Ma se la politica non riesce ad arrivarci, ci pensa Change.org (anzi, firmate qui la petizione).
L’ultimo punto è forse quello che ha toccato di più le mie corde come essere umano: la storia personale. Spesso noi psicologi facciamo “spiegoni” importanti su segni, sintomi, significati ed essenza del malessere psicologico dando l’impressione grottesca e stereotipata di essere degli incorruttibili di fronte al malessere dell’anima o di possedere la bacchetta magica della psiche per ritrovare immediatamente l’auto benessere, ma siamo esseri umani e la nostra fragilità (e forza), risiede nel comprendere il dolore dell’altro per aiutarlo a riconoscerlo e superarlo. Per questo motivo il benessere psicologico non può e dev’esser visto di serie B. Già in passato per MOW ho scritto una lettera, come d’atto d’amore nei confronti della mia professione e inserisco un pezzo autoreferenziale perché mi son ritrovato in tanti aspetti descritti da Salvadori e lo dico senza vergogna alzando la mano: anche io ho sofferto di attacchi di panico (pure recentemente) e anche io ho chiesto aiuto.
No Luca, non è difficile spiegare l’attacco di panico. Ci sei riuscito perfettamente e sei solo da lodare.