L'oro di Jacobs racchiude in sé, non soltanto un grandissimo lavoro fisico, di impegno e sacrificio, ma anche un importante lavoro mentale. Quando ha tagliato il traguardo, con tutto il suo entusiasmo, mi son detto “Cavolo, chissà che super psicologo sportivo l'ha seguito!” e ho pensato immediatamente a Vercelli o Gramaccioni, due figure di riferimento per la psicologia dello sport, ma quando l'ottimo Jacobs ha ringraziato la sua mental coach, lo ammetto, mi sono cadute le braccia. In quel preciso istante, l'idea di sapere che quella frase avrebbe riaperto la lunghissima battaglia tra “mental coach” e “psicologi”, mi ha fatto riflettere. Eh si, sembrerà sciocco, ma gli schieramenti “psy(cho)” e “mental”, non si vogliono molto bene, anzi. Nonostante a volte si cerchino delle protoalleanze, in realtà è una guerra tra Guelfi e Ghibellini, Autobots e Decepticon, Jedi e Sith, Titolo Accademico e Albo Privato. Ma prima di proseguire con questa riflessione sul perchè gli psicologi hanno perso (o meglio, perchè i mental coach vincono), dobbiamo comprendere alcuni passaggi.
Mental coach e psicologi. Le differenze
Vorrei evitare di essere prolisso per metter il focus su altro, ma è bene mettere delle distinzioni che cercherò di riassumere in poche semplici parole: lo psicologo è colui che dopo 5 anni di Università, tirocinio e esame di stato, si iscrive a un albo pubblico. Il Mental Coach (così com'è sulla carta) può essere chiunque voglia inserire questo titolo nel suo cv. E' vero che esiste una legge a cui fanno appello, la 4/2013, ma questo significa solo che chiunque voglia, può fregiarsi del titolo di Mental coach o Counselor (non psicologico). Esistono albi privati, esistono corsi, (e mi auguro che chi si attribuisca questo titolo, un minimo li frequenti) ma di fondo questo è. In realtà esistono anche mental coach che seguono dei percorsi universitari, per esempio Luciano Sabbatini, il mental coach di Tamberi, ha due lauree in fisioterapia e Scienze motorie e poi è diventato anche Mental Coach, ma escluso lui, tante di queste figure non hanno preparazioni specifiche, soprattutto nell’ambito psicologico
La percezione sociale
Poi c'è la percezione da parte della società su queste due figure. Lo psicologo viene visto come il rigido bacchettone che patologizza, mentre il mental coach è percepito come colui che smuove le risorse; il primo è uno standardizzato che scava nei traumi e porta a galla le fragilità, il secondo invece risolve in poco tempo e ti migliora. Come affermato da Roberto Re, uno che di mental coach ne sa e ne ha fatto una carriera "lo psicologo dello sport si occupa di disagio, lo sport mental coach di performance." Falsità come una moneta da 3 euro. La conoscenza dello psicologo sportivo è anzitutto una conoscenza della psiche umana completa, maturata in almeno sei anni di studio universitario (5+1 di tirocinio obbligatorio) e se è anche psicoterapeuta, dobbiamo aggiungerne altri 4, mentre il mental coach, si forma in un corso di qualche week end o per semplice passione di un ambito particolare (quanti personal trainer o insegnanti di yoga conoscete che si attribuiscono il titolo di mental coach, o peggio ancora, life coach?). Per dirla papale papale, lo psicologo E' mental coach (qualsiasi sia il suo ambito), il mental coach NON è uno psicologo. E vi assicuro, questo fa la differenza. Anche per i giornali la confusione è dietro l'angolo. Ogni tanto citano psicologi sportivi chiamandoli mental coach, oppure parlano di lavoro psicologico fatto da counselor in mindfulness. Insomma, c'è tanta confusione
La vittoria dei mental coach è la sconfitta degli psicologi
Qualcuno giustamente, potrebbe dire “ok, tutto sensato quello che dici, ma Jacobs? Ha compiuto un'impresa storica ed è stato seguito da una mental coach. Anche l Tamberi è seguito da un mental coach. E quindi?” E quindi c'è la grande sconfitta degli psicologi e lo dico da psicologo e psicoterapeuta. Purtroppo la mia professione per anni ha cercato di mostrare la validità del proprio lavoro alla società, ma rimaniamo permeati da quella patina di “medici dei pazzi”.
Siamo una professione dove persino la legislazione sembra più bloccante per noi e aprente per le figure di confine. Oltre a ciò, il vil denaro, porta noi a insegnare alle scuole per counseling e coaching perchè tanto i rischi di richiami dell'Ordine son vaghi e spesso cadono nel vuoto. Quindi anche noi, purtroppo, possiamo formare la Casalinga di Voghera (non me ne abbia questo stereotipo ormai desueto) a preparare mentalmente il manager d'assalto o il calciatore astro nascente. E in tutta questa nostra rigidità, chiaramente vince chi è più elastico. Certo, abbiamo titoli sudati, studi, impegno e fatica, ma purtroppo ormai sembra valgano meno di zero a discapito dei termini anglofoni che rendono tutto più semplice (aggiungo che all'estero il Counselor è un titolo accademico, qui invece è sufficiente metterlo sul campanello per esserlo in automatico). Proprio per questi motivi il coaching funziona: perchè piace. Se due persone si incontrano e una dice “vado dallo psicologo per migliorarmi”, fa strano e da l’idea del malato mentale. Ma invece dice “vado dal mental coach per migliorarmi”, ecco che compare l’idea della crescita personale, dell’efficacia e delle forze in movimento. Li risiede la grande sconfitta degli psicologi verso la società. Nonostante nel periodo pandemico ci siamo proposti per aiutare la popolazione, la nostra professione è sempre vista come l’ultimissima spiaggia prima della psichiatria e se gli stereotipi son duri a morire, beh, questo è durissimo.
Sapete quando inizierà a vacillare il mito del mental coach? Quando ci si renderà conto che molte delle loro tecniche, sono semplicemente tecniche standard e che elaborare la vittoria o la sconfitta, non sono semplici questioni di tecnica. Il lavoro psicologico è tecnica, elaborazione, emotività ma soprattutto PERSONALIZZAZIONE. E chi fa lo psicologo dello sport, lo sa bene. Spezzo una lancia verso la mia professione perchè invece, di sportivi che si rivolgono allo psicologo delle sport, ne abbiamo a pacchi. La Pellegrini, per citarne una, Quartararo per citarne un altro. Abbiamo società sportive blasonate che vogliono lo psicologo sportivo, perchè mente e corpo lavorano insieme e io, nel mio piccolo, ho lavorato con sportivi di alto livello e una di queste persone era a Tokyo ma mantengo il segreto professionale. Perché questo fa lo psicologo: tutela l'anonimato di chi porta il suo vissuto.