La Formula 1 sembra aver finalmente ritrovato la propria strada. Dopo anni in cui gli appassionati lamentavano poco spettacolo, nessun sorpasso e prevedibilità assoluta su chi potesse vincere il mondiale, dal 2021 le cose sono nettamente cambiate.
La sfida per il campionato si è riaccesa lo scorso anno, con lo scontro tra Lewis Hamilton e Max Verstappen, e le prime gare del 2022 sembrano indicarci che il mondiale sarà apertissimo e pieno di colpi di scena.
Il pubblico di appassionati si è ingrandito e svecchiato, complice anche il successo internazionale della serie Netflix Drive To Survive che, negli ultimi anni, ha permesso a moltissimi di conoscere la Formula 1 in un modo più "spettacolare" e meno sportivo, e trascinarli così dentro il mondo del motorsport. Un successo che ha portato la F1 anche dall'altra parte dell'Oceano, in America, dove la classe regina non era mai riuscita a rapire gli americani, da sempre più interessati alla NASCAR e alla Indy Car.
Le nuove regole portate in pista quest'anno poi, contrariamente alle preoccupazioni iniziali di molti addetti ai lavori, sembrano funzionare alla perfezione: i sorpassi sono aumentati, stare a lungo in scia alle altre vetture non porta il degrado gomme visto negli ultimi anni e un regolamento piuttosto flessibile ha portato i team a soluzioni completamente diverse tra loro, restituendoci un po' di quel sapore "vintage" della Formula 1 del passato, quando il guizzo ingegneristico rappresentava un punto fondamentale dello sport.
Se aggiungiamo poi il talento dei piloti della nuova generazione, le storie personali che li legano e che li fanno sfidare, il successo è garantito. La Formula 1 ha tutto quello che le serviva per tornare a dominare la scena internazionale e, perché no, magari anche a fare qualcosa in più rispetto al passato.
Ha tutto, tranne una cosa: la coerenza. Questo weekend in Arabia Saudita lo abbiamo visto per l'ennesima volta e con ogni probabilità in un modo che non dimenticheremo mai. L'attacco terroristico a pochi chilometri dal tracciato di Jeddah, visto venerdì nel corso delle FP1 di Formula 1, ha portato squadre e soprattutto piloti a interrogarsi sulla possibilità di boicottare la gara e fare ritorno a casa.
Una discussione andata per le lunghe, durata fino a notte inoltrata, e conclusa con la decisione di proseguire il fine settimana. Una scelta che però è fin da subito apparsa dettata dagli interessi di team, FIA e Liberty Media più che dalla volontà dei piloti. Chiamato a dare spiegazioni sulla questione il boss della F1, Stefano Domenicali, ha dichiarato: "Non siamo ciechi, ma non dobbiamo dimenticare una cosa. Questo Paese e lo sport stanno facendo un grande passo avanti. Non si può pretendere di cambiare una cultura millenaria in un batter d’occhio. Stanno cambiando diverse leggi e dobbiamo tenerne conto. Un attacco terroristico è una guerra? Siamo in contatto con le autorità e mai metteremmo a rischio la sicurezza della nostra gente".
Dichiarazioni che, unite a quelle simili del team principal della Mercedes Toto Wolff, non sono affatto piaciute agli appassionati anche perché, proprio la Formula 1, ha investito moltissimo sul tema "sociale" delle uguaglianze, della lotta contro ogni tipo di discriminazione e solo una settimana fa in Bahrain, si è apertamente schierata contro tutte le guerre del mondo, a partire da quella in Ucraina.
Parlare quindi di diritti umani correndo in un paese che, solo due settimane fa, ha giustiziato 81 persone in un giorno, suona quanto meno incoerente. E ancora più incoerente appare il tentativo dei piani alti della Formula 1 di arrampicarsi sugli specchi e non ammettere, semplicemente, quanto importante sia il business in questi paesi per la Formula 1 di oggi.
Ammettere che un accordo di 90 milioni di euro, come quello stipulato tra Liberty Media e Arabia Saudita, sia fondamentale per il circus di oggi sarebbe stato un messaggio forte, sicuramente criticato, ma quanto meno sincero. Perché l'alternativa rimane quella di sventolare le bandiere del "We Race as one" ma far finta di non vedere le condizioni devastanti dei paesi in cui la Formula 1 sceglie di correre. Parlare di sicurezza quando lo stabilimento attaccato a Jeddah è di Aramco, sponsor del circus che per tutto il weekend figurava ovunque sulla pista dell'Arabia Saudita. E fingere di non vedere gli sponsor di alcolici (anche se 0% alcool) coperti sulle monoposto quando si va a competere in questi luoghi e chiudere gli occhi davanti all'inutilità dei messaggi vuoti lanciati nel paddock da oltre due anni.
Perché la Formula 1 sarà anche riuscita a riprendersi lo spettacolo, la velocità e il divertimento. Ma la coerenza è ancora molto molto lontana.