“Io sarei il primo a gioire se la Honda fosse una moto più morbida, meno scontrosa. Una moto, insomma, più facile da guidare. Ma è anche vero che una volta prese le misure con le caratteristiche estreme di questa moto, allora ci si rende conto di avere a che fare con un mezzo straordinario e potenzialmente imbattibile” – Lo ha detto Marc Marquez, in una delle tante interviste rilasciate durante la sua recente comparsata a Barcellona. Una visita al box per incontrare gli uomini del team e stabilire le priorità in vista del 2021, soprattutto per quanto riguarda le caratteristiche della moto con cui affrontare il prossimo mondiale ed il suo sviluppo (per quanto concesso dal regolamento).
Marc Marquez, quindi, non ha problemi a riconoscere che la Honda è una moto difficile, ma è sembra restare convinto (a ragione, visti i suoi risultati) del fatto che debba essere il pilota ad adeguare il proprio stile per poter sfruttare il potenziale del mezzo messo a disposizione dal reparto corse del colosso giapponese. Non sono dello stesso avviso, o almeno non lo sono del tutto, però, i piloti che con lui condividono l’esperienza in sella alla RC231V. A cominciare da suo fratello Alex Marquez: “È una moto molto difficile da domare – ha affermato Alex in una recente intervista – Per Marc sembra tutto facile perché lui ha imparato a conoscerne le criticità e a trasformarle in vantaggio. Mi sta aiutando molto, soprattutto nel farmi capire che con questa Honda bisogna essere aggressivi quanto lo è la moto. Ma, certo, se fosse stata un pochino più facile non mi sarebbe dispiaciuto, perché esordire in MotoGP in sella a questa RC213V è stato davvero impegnativo e non sono mancati i momenti di sconforto”.
Parole, quelle di Alex Marquez, che sembrano fare il paio con quelle usate, senza il filtro della diplomazia, da Cal Crutchlow. “Non mi sorprende – ha dichiarato l’inglese a Todocircuito – che anche Stephan Bradl si sia trovato in grossa difficoltà, costretto addirittura a gestire malanni fisici dovuti allo sforzo richiesto dal guidare questa moto. La Honda non perdona, anche Nakagami ha problemi di sindrome compartimentale. È una moto che si muove e si inclina molto. È difficile da controllare se non si è al top della forma”. Non una critica, quindi, ma il riconoscimento di un carattere del mezzo che non offre subito confidenza al pilota e che mette nelle condizioni di fare un grosso sforzo fisico per gestirne la potenza e un altrettanto grosso sforzo fisico per imparare a capire come sfruttarla al meglio. Viene da chiedersi, però, se quanto accaduto in questa stagione – con l’assenza di Marc Marquez che ha finito per evidenziare i limiti (se è di limiti che si può parlare) della RC213V – spingerà gli ingegneri dell’Ala Dorata verso direzioni diverse da quelle fin qui intraprese. Perché se è vero che tutti i piloti ammettono che non di voler imparare loro stessi ad adeguarsi alla moto, è altrettanto vero che qualcosa per addolcire la Honda dovrà pur essere fatto.
È ciò che chiede, se non altro per salvare la stagione con almeno un podio, quello attualmente più in alto in classifica tra i piloti dell’Ala Dorata: Takaaki Nakagami. “Non arriveremo mai sul podio se non miglioriamo qualcosa – ha affermato il giapponese sulle pagine di Motosan – Domenica a Barcellona avremmo potuto anche vincere se guardiamo la seconda metà di gara, ma all’inizio le cose non andavano bene. Avevo problemi in frenata e non riuscivo a sorpassare, poi le cose hanno iniziato ad andare meglio perché gli altri stavano logorando le gomme e noi no. È un punto di forza per noi, ma dobbiamo migliorare sotto altri aspetti per rendere questa moto più competitiva e provare a toglierci qualche soddisfazione magari prima della fine della stagione”.