“Sono triste”. Claudio Marcello Costa, il Dottocosta, risponde così al telefono quando gli chiediamo due parole sulla notizia dell’addio alla Clinica Mobile da parte di Dorna. E’ triste. Di quella tristezza che, però, non diventa rabbia. Insomma, quella tristezza di cui sono capaci solo gli uomini grandi, quelli che accettano anche le lacrime, senza cercare necessariamente un veleno che le asciughi. Nella consapevolezza che dolore e sofferenza, la tristezza in una parola sola, possono solo essere accolte. Fa una pausa lunga dopo quel “sono triste” e poi aggiunge: “La Clinica Mobile è una mia figlia che ho lasciato a un mio figlio e non pensavo a questo epilogo, ma posso solo prenderne atto. Mi dispiace, certo che mi dispiace, ma di giudizi non ne faccio, perché giudicare gli altri non è un esercizio di vera umanità, ma sempre una deriva. Piuttosto preferisco indirizzare le energie che sprecherei con i giudizi nel cercare qualcosa di positivo e una cosa positiva c’è anche in tutto questo”.
Il Dottorcosta è fatto così. Magari ti aspetti che questa volta - proprio perché qualcuno ha freddamente messo le mani sulla sua creatura – si arrabbi. Invece no. Cerca il positivo. Ma un positivo che ha tutte le sembianze di uno sganassone morale di quelli che si possono pure incorniciare. Un cazzottone morale non agli uomini, ma ai nuovi metodi che governano gli uomini. “La consolazione, mi ascolti bene, è questa qua – ci dice ancora – La consolazione è che la Clinica Mobile non esisterà più con quel nome nei circuiti del motomondiale, ma sarà sostituita da una struttura spagnola del tutto identica. Insomma, non hanno scritto la fine di una idea, ma semplicemente hanno sostituito quell’idea, la mia idea, con una sua copia. Magari migliore”.
Prendere e portare a casa. Perché messa così non fa una piega e perché il Dottorcosta ha ragione ancora una volta. Dorna non ha rinunciato a un centro mobile specializzato e attrezzato per il primissimo intervento durante i gran premi, ma ha semplicemente – e freddamente - deciso che quel tipo di servizio dovrà essere fatto da qualcun altro. Qualcun altro che magari avrà pure migliorato una idea e un progetto, ma che non ha ideato e nemmeno progettato. Insomma, qualcuno che è arrivato dopo. Ma che è arrivato dopo in un mondo, quello delle corse, dove conta sempre e solo chi arriva prima. Certo, resta il dispiacere e resta quella tristezza lì di cui è capace il Dottorcosta e di cui sono capaci gli uomini grandi, ma resta anche l’orgoglio di aver scritto una storia che adesso qualcuno dovrà continuare. “Mi dispiace per Michele (Zasa) che è un mio allievo e a cui avevo lasciato la Clinica Mobile – ci ha detto ancora il Dottorcosta – Ma è un grande medico con un grande futuro. Mi dispiace per i modi, ma non possiamo non prendere atto che ormai gli spagnoli sono i padroni del motomondiale. Così come non possiamo non accettare che una scelta così era tra i loro poteri. E poi, diciamocelo chiaramente, nessun futuro è mai esattamente come ce lo immaginiamo. Cambia il mondo e inevitabilmente cambia pure il mondiale, anche quello delle motociclette”.
Su come cambia, però, il Dottorcosta, che è un gran signore, non dice nulla. Ma proviamo a dirlo noi. Cambia nella direzione delle scelte che non tengono conto del cuore, cambia nella direzione delle scelte che mettono da parte l’umanità e cambia nella direzione di scelte che ormai sono dettate da dinamiche che non tengono conto delle emozioni (che equivale a rinunciare a vivere) e che hanno senso solo al di fuori degli individui. E fuori dagli individui ci sono sempre e solo le “forze terze”. Che sono pericolose, perché distanti della vera Libertà. Persino in un mondo, quello delle corse in moto, in cui, sfidando la morte, si finisce per celebrare la vita. Quella vita che il Dottorcosta e la sua Clinica Mobile hanno difeso fin dagli Anni ’70, come soldati geniali e pure un po’ naif, sfidando a volte anche le leggi delle nazioni in cui si andava a correre. Mischiando scienza e magia, moltitudini di nozioni e rarissima umanità. E segnando una strada che adesso qualcuno avrà pure copiato e migliorato, ma che è stata sempre illuminata da due fari che oggi sembrano spenti: l’affetto e la riconoscenza. Solo che senza il dovuto e doveroso affetto (che è il vero legame che unisce gli individui e produce cose grandi) e senza la riconoscenza si finisce per sfidare la verità delle cose o, peggio ancora, il futuro. Sfidare il futuro: il peggiore dei peccati, sempre! E anche la peggiore delle esperienze per chi, che si tratti di corse in moto o di vita, c’ha già provato… pentendosene.