Di Marco Simoncelli si continua a parlare, scrivere e raccontare. Così ogni tanto capita di scoprire una sua frase, una sua foto: internet è grande sputa contenuti in continuazione, niente di strano. A volte capita di restare un attimo a pensarci, di fermarsi più di 15 secondi a guardare. Se sei in metro perdi la fermata, se sei al cesso cominciano a bussare. Marco Simoncelli è bravissimo a scatenare questi piccoli momenti lontani dal vuoto, a lasciare qualcosa. Stavolta, a ricordarcelo, una pagina Instagram dedicata alle corse in moto, la trovate scrivendo @inostripilotigp: Chiara, che la gestisce per passione, racconta il paddock con il cuore e le idee, scegliendo storie che altrimenti non avrebbero spazio. È come una persona che canta a bassa voce mentre gli altri urlano. Su quella pagina il Sic ci finisce spesso, in questo caso con un pezzo scritto di suo pugno per la Smemoranda 2010. In due pagine di diario, duemila caratteri appena, Marco riesce a dire tutto: perché gli si vuol bene, in cosa crede, cosa ha imparato. La potete leggere qui di seguito.
La lettera di Marco Simoncelli
“La cosa che è cambiata di più da quando sono campione del mondo?
Gli Altri!
In primis vorrei dire che scrivere un pezzo per Smemoranda è una cosa che mi fa veramente “strano”, visto che fino a pochi anni fa ero io a leggere sulla mia Smemo i pezzi scritti da sportivi di successo e da persone note.
Quindi superato questo primo scoglio vorrei cercare di scrivere qualcosa di carino, che non sia una cavolata e che non rompa le balle! (visto come andavo in italiano non sarà facile!!!)
Vorrei parlare di una cosa curiosa che mi accade da quando ho vinto il campionato del mondo. Be’, anche se io mi sento quello di sempre, la vita è cambiata abbastanza, in particolare nei 2 mesi successivi all’ultima gara del 2008 corsa a Valencia. In quel periodo non sono veramente mai stato a casa, sempre 1000 impegni, ogni giorno ce n’era una. E se all’inizio poteva essere bello, dopo un po’, fidatevi, è una bella rottura di scatole!! Anche se comunque è una cosa positiva, perché quando tutti ti cercano vuol dire che la stagione è andata per il meglio, infatti, l’anno prima state tranquilli che non mi cagava nessuno! Comunque il cambiamento più grande che ha portato questa vittoria, è stato il comportamento delle altre persone nei miei confronti. Cosa che da qualche punto di vista può essere normale, ma io non riesco a capirla più di tanto.
Per esempio: se adesso parlando con un giornalista, piuttosto che con un addetto ai lavori, o con uno che incontro in un bar, dico la mia riguardo alla curva di un circuito, mi ascolta, ci riflette, anzi magari non ci riflette neanche però, visto che è una cosa detta da un campione del mondo, mi dà ragione. Se quella stessa affermazione l’avessi fatta un anno prima, quando invece di vincere arrivavo 6°, tutti mi avrebbero detto: “Dai va’ là Simoncelli, pensa a darci il gas invece di dire delle cazzate!” Eppure la cosa detta era la stessa. Cioè, paradossalmente, nel 2007 avrei potuto dire cose sensate e nessuno mi avrebbe preso in considerazione, mentre dopo il 2008, anche se avessi detto delle cagate, tutti o quasi le avrebbero prese per oro colato.
Vi sembra regolare??? A me no! Però è un mondo fatto così, che ti porta dalle stelle alle stalle e viceversa in un batter d’occhio. È l’era del consumismo e così come le cose, vengono “consumate” anche le persone, come niente fosse! La regola è questa: “Se vinci sei un bravo ragazzo, bello e intelligente, mentre se perdi sei una testa di c…. legno e meno cose dici e meglio è”. Per questo, secondo me, è fondamentale rimanere sempre se stessi, tenere i piedi ben ancorati al terreno e circondarsi di persone vere. Cioè andare d’accordo con tutti, ma sapere che le persone che ti vogliono bene davvero, delle quali ti puoi fidare, e per le quali tu rimani sempre lo stesso indipendentemente dalla tua carriera sportiva sono veramente poche e, fidatevi, quando si ha la fortuna di incontrarle bisogna tenersele davvero strette”.
È morto giovanissimo il Sic, 24 anni appena. Eppure Paolo Beltramo - forse il giornalista che l'ha conosciuto meglio - racconta spesso che ogni tanto, quasi di nascosto, Marco smetteva di essere il patacca romagnolo che tira su il colletto alla polo in Viale Ceccarini e fa casino con la macchina stappata. Beh, magari quello continuava a farlo. Però, girando il mondo appeso al paddock, oltre alle cose belle ha visto anche la fame, la povertà, in alcuni casi la disperazione. Ci ragionava sopra Marco, senza la paura di distrarsi dalla pista e dal risultato, cosa che oggi come ieri è un grosso timore di tanti piloti. Lui era un po’ più libero, riusciva a fermarsi per un attimo a pensare. E tante volte ha fermato anche noi.