Ancora una volta, le azioni della Fia in merito al tema del linguaggio colorito utilizzato dai piloti hanno generato polemiche e questa volta a farne le spese è stato Charles Leclerc. Al termine del fine settimana messicano, durante la conferenza stampa post-gara, nel raccontare il pericoloso “snap” avvenuto all’ultima curva che, oltre a poter mettere fine alla sua gara, ha spianato la strada verso il secondo posto a Lando Norris, Leclerc si è lasciato scappare un “I was fucked”: accortosi poi dello “scivolone”, se così si può definire, si è subito corretto con tanto di “non voglio far compagnia a Max”, alludendo alle sanzioni a lui corrisposte, ma questo non è bastato ad evitare la polemica.
Arrivati in Brasile, ci ha pensato lo stesso Verstappen, anche giustamente, a chiedere a gran voce una penalità, visto quanto successo nei suoi confronti a seguito del Gp di Singapore, dal momento che inspiegabilmente, vista la linea dura adottata nei suoi confronti e dichiarata all’inizio di tale battaglia, la federazione sembrava aver chiuso un occhio nei confronti di Charles. Ciononostante, solo una multa è stata comminata a Leclerc, mentre con Max si è andati ben oltre, viste le ore di “lavori socialmente utili” a cui dovrà prestarsi tra la fine di questa stagione e l’inizio della prossima, rendendo evidente il differente metro di giudizio adottato nel valutare due episodi simili tra loro.
In tal senso, se è vero che la polemica aizzata dal presidente della federazione Mohammed Ben Sulayem ha destato non pochi dubbi sin da quando il tema è stato sollevato, si è dunque vista tutta l’incoerenza delle azioni della Fia: se nel caso di Verstappen si è considerato non solo in linguaggio, ma anche il duro atteggiamento adottato in risposta alle parole del presidente, con l’olandese arrivato a rispondere a monosillabi nella conferenza che ha seguito le azioni prese nei suoi confronti e addirittura chiamando a raccolta i giornalisti per parlare di quanto successo lontano dalle telecamere, nel caso di Leclerc il metro di giudizio adottato è stato ben diverso; la Fia si è giustificata affermando che Charles si è mostrato sin da subito dispiaciuto, ma ciò non è bastato a evitare i dubbi e le polemiche tra appassionati e addetti ai lavori. Proseguire a suon di penalità su penalità non è servito e non servirà ad accrescere tra i piloti una consapevole accortezza, in quanto quello di Charles non è il solo episodio di “linguaggio colorito” ai microfoni da quando tale discorso ha iniziato a prender piede: a conti fatti, la dura linea adottata contro Max non ha generato i risultati sperati, se non un’ondata di derisione nei confronti della federazione stessa.
Come ribadito da molti, i problemi della Formula Uno attuale sono altri e questo non è sicuramente il modo adatto di affrontare tale problematica: d’altro canto, se l’obiettivo è quello di provare a dare un esempio maggiormente corretto a chi guarda la serie, esempio che passa anche tramite il linguaggio dei piloti, la coerenza e la consistenza di giudizio è un qualcosa che non può mancare, altrimenti i tanti “fuck” o i vari “I was fucked” avranno pesi e misure differenti, genereranno altrettante conseguenze differenti e porteranno solo a polemiche che distolgono l’attenzione da ciò che più conta davvero. Cara Fia e caro presidente, ancora una volta, a uscirne con le ossa rotte non sono stati i piloti ma il tuo operato, spesso incoerente e privo di una vera e propria linea. Forse, è il caso di lasciar perdere questa battaglia e intraprenderne di nuove, per lanciare un messaggio che davvero possa essere rilevante per tutti coloro che hanno fatto della F1 una parte, più o meno importante, delle loro vite.