All’Autodromo Hermanos Rodríguez di città del Messico cala il sipario sulla ventesima prova della stagione ed è Carlos Sainz a tagliare per primo il traguardo, conquistando così la quarta vittoria in carriera. Alle sue spalle, Lando Norris e il compagno di squadra Charles Leclerc che - fino al 62° giro - ha tenuto viva la speranza di una seconda doppietta Ferrari nel giro di appena una settimana. Un weekend di gara che già dal venerdì sembrava chiamare a gran voce lo spagnolo della rossa, primo nelle FP1 e ancora in testa nelle FP2 del sabato, per poi completare il podio nel terzo turno di prove libere. Ma Carlos Sainz già presagiva qualcosa, addirittura ad Austin, dove non aveva fatto tesoro delle sue buone sensazioni in pista e di come queste gli fossero di auspicio per una vittoria nelle gare successive, a partire dal GP del Messico. Diceva di volere un ultimo successo con la Ferrari prima dell’addio forzato ad Abu Dhabi e così è stato. È nel colorato Messico di Checo Pérez, protagonista di una performance a dir poco negativa, che il pubblico del Foro Sol accoglie un pilota che lo spagnolo pur sempre lo parla e che con un “Gracias México” di cuore, esprime tutta la sua gratitudine per il regalo più bello che potesse mai ricevere: un altro podio sul gradino più alto, nel nome del rosso Ferrari. In bilico sulla sua SF24, con le braccia alzate al cielo, Carlos si gode il momento. E poi scende, festeggia, come di consuetudine, con chi come lui veste i colori di Maranello. Con l’amico di sempre Lando Norris e con Charles che gli stringe la mano, congratulandosi. Ecco, quindi, che la Ferrari regala ai tifosi due domeniche da sogno di fila, con una doppietta texana appena trascorsa e un primo e terzo posto in Mesoamerica.
Ma cos’è una vittoria della rossa senza un po’ di (false) controversie? Dopotutto stiamo parlando del cavallino rampante, e ogni suo piccolo dettaglio viene sempre esaminato con attenzione da appassionati e professionisti della classe regina. Uno, ai due pilota della rossa viene presto chiesto di fare lift-and-coast [ndr: sollevare il piede dall'acceleratore qualche decimo di secondo prima di frenare. Questo meccanismo aiuta a ridurre il consumo di energia e la temperatura del motore]. Al giro 16 dei 71 previsti, via radio Sainz non è certo che il monegasco stia eseguendo l’ordine. Due, verso il tramonto della gara, quando l’1-2 Ferrari è ancora solido, il pilota madrileno comunica alla squadra come, secondo lui, non sia necessario che Charles spinga così forte. La spiegazione non contempla invidie né complotti ma solo l’interesse – nel primo caso – a salvaguardare gli pneumatici e – nel secondo – a proteggere al meglio la vetta, con lo spagnolo però ignaro della presenza di Lando Norris negli specchietti retrovisori del suo collega di box. Tre, è un Charles Leclerc scuro in volto quello che, a fine gara, a malapena si gira dinanzi al tentativo di saluto da parte di Sainz. C’è chi grida al lupo e crea narrazioni a dir poco suggestive secondo cui, per l’ennesima volta, in casa Ferrari non scorre buon sangue.
Eppure, Charles Leclerc, come già accennato, con il suo compagno si era già complimentato e comunque sul suo volto, ormai lo sappiamo, la delusione non manca mai quando – alla bandiera a scacchi – non giunge per primo. C’è forse chi ancora spera che il pregevole connubio creatosi tra i due omonimi abbia un non so che di fittizio, c’è chi forse attende con ansia Sir Lewis Hamilton. Poco importa. Perché alla fine, nel microcosmo della Formula Uno, è facile trarre conclusioni affrettate e - se in quello stesso microcosmo si parla della Scuderia Ferrari - allora le conclusioni sono tanto affrettate quanto esagerate. Ma andiamo con ordine. Silverstone 2022, Carlos Sainz vince la sua prima gara in carriera favorito dalla strategia di squadra. Interlagos 2022, Charles Leclerc chiede uno scambio di posizioni forte della sua lotta per il secondo posto in classifica piloti. Richiesta negata. E poi il 2023, con il monegasco “bloccato” dallo spagnolo in Arabia Saudita o durante le qualifiche del GP d’Australia. Quest’anno, è a casa di Carlos - appena al terzo giro sul tracciato di Montmeló – che il duello tra i due sfocia in un contatto, una uscita di pista non penalizzata per Sainz jr e un’ala danneggiata per Leclerc. “Non è che gli starò dietro tutta la vita”, queste – all’epoca - le parole del nativo di Madrid che prontamente smentisce le voci di “rottura interna” durante il weekend successivo, in Austria, appoggiato dallo stesso numero 16: “È bastato uno sguardo d’intesa per mettere tutto a posto”. In Cina, una nuova collisione: “What the f*ck”, “Sainz battagliai più con me che con tutti gli altri”, dice Leclerc. Gli fa eco Sainz, “A volte sono stato più aggressivo io, oggi credo lo sia stato lui”. Ma ancora una volta, non manca mai la parcondicio, “Non sono preoccupato, ne parleremo e chiariremo”. Basti pensare alla Sprint Race di Austin, tra sorpassi e controsorpassi, fino a quando Leclerc non ha dovuto lasciar perdere. “Carlos ha avuto un approccio diverso dal mio”, “non andrò più nel dettaglio di così”. Sembrava fosse la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso. Ancora. Sì, perché è facile parlare di quello che ‘sembra’, in un Paddock di Formula Uno dove non è tutto oro quel che luccica. Ma è anche vero che di quell’oro ce n’è e si interpretano le cose in chiave negativa anche quando non c'è motivo.
Soprattutto se ti chiami Charles Leclerc e Carlos Sainz. Soprattutto se sulla tua tuta c’è lo stemma più importante del mondo delle corse. In Messico, i protagonisti sono sempre loro. Un Messico che sa ancora tanto di Texas, un Messico che sa di agonismo, di amicizia e rivalità. Di Carlos che cerca Lando (con cui poi condividerà una serata in famiglia sulle note dei Mariachi), ultimo compagno di squadra nel colore papaya, con cui il rapporto pare non essersi mai incrinato. Di Charles che probabilmente non vedrà mai nessuno come vede Pierre Gasly, fratello acquisito in un’infanzia fatta di sogni. È forse anche di rabbia, per un 1-2 mancato, ma è di certo un Messico nuovo, a quattro gare dalla fine, che non si tingeva di rosso dal lontano 1990, con il professore, Alain Prost. Che Carlos Sainz e Charles Leclerc sono però il presente, un quadriennio di gioie e dolori, di un 2022 con i fiocchi (20 podi, 4 vittorie, 12 pole) con Charles vicecampione del mondo a fine anno, alle spalle solo di Max Verstappen. Di un 2023 più sommesso anche a causa del dominio Red Bull (1 vittoria, 9 podi, 7 pole) con un 4° e 7° posto in classifica piloti. “Ci sono stati momenti in cui l’ho odiato e lui ha odiato me ma poi si aggiusta tutto”, ha svelato tempo fa Charles, “Sono ricordi che porterò sempre con me”, e poi Carlos, “La competitività ci porta a confrontarci e non essere sempre d’accordo ma dopo torniamo a casa insieme, parliamo, ci chiariamo e dimentichiamo”. Che di vera amicizia, lo sappiamo, non se ne può parlare a 300 chilometri all’ora, ma c’è qualcosa – quando guidi per il cavallino – che è più forte. Un vissuto indissolubile, che sfida le leggi del tempo e vive in te in eterno, che ti tempra e un po’ ti distrugge, che le vittorie sono le più dolci di tutte e i passi falsi sono i più ardui da digerire. Essere Ferrari è questo e Carlos Sainz e Charles Leclerc lo sono stati e lo saranno sempre, anche oltre le luci di Yas Marina. Essere Ferrari è sbagliare e ammetterlo, voltare pagina e andare avanti e questo lo hanno fatto entrambi, ripetutamente. Perchè Carlos aveva ragione quando ai microfoni di Mara Sangiorgio ha detto “credo che me lo merito” (ndr: di aver vinto). Per la costanza e l’abilità nella guida dimostrate tutto l’anno. Per salutare dall’alto del podio, con i colori Ferrari, ancora un’ultima volta (anche se l’ultima non sappiamo per certo se lo sia).