Olga Kharlan, sciabolatrice ucraina, è stata squalificata con cartellino nero dai Mondiali di scherma per non aver stretto la mano alla sua avversaria russa Anna Smirnova, per poi essere riammessa solo per la gara a squadre. Con questa decisione, sacrosanta ma non del tutto corretta, la scherma è definitivamente morta facendo crollare in un secondo l’esempio di sportività e fair play che negli anni aveva costruito. Il regolamento internazionale FIE (Federation Internationale d’Escrime) chiede espressamente che, all’inizio e alla fine dell’assalto, i due avversari facciano il saluto, che consiste in movimenti della lama per onorare e tributare avversario, arbitro e pubblico. Solo al termine dell’assalto, inoltre, i due avversari devono scambiarsi una stretta di mano che, da protocollo Covid ancora in vigore, può essere sostituita da un incrocio basso delle armi con contatto delle lame. In alcuni casi, poi, al posto della stretta di mano se gli avversari si conoscono bene possono anche scambiarsi un abbraccio (come per esempio è successo nel fioretto femminile tra Arianna Errigo e Martina Favaretto come anche in finale con la stessa Errigo e Alice Volpi). Chi vi scrive, avendo tirato di scherma per quattro anni, ha tributato numerosi avversari, compagni di allenamenti, maestri, preparatori e spettatori, per cui conosce a memoria il movimento da fare con il braccio armato, inoltre di abbracci tra compagni e avversari ne ha visti tanti e ne ha anche dati alcuni. Non si dica che nella scherma manca il fair play, perché uno sport come questo che ha proprio nel regolamento il tributo ad avversario, arbitro e pubblico insegna più di ogni altro a portare rispetto a chi abbiamo di fronte, perché come recita l’ode all’avversario “Tu sei il mio avversario, ma non il mio nemico”.
Le due avversarie, in questa situazione anomala, hanno interpretato diversamente il regolamento: la Kharlan, dopo aver fatto il saluto, ha porto la sciabola per tributare l’avversaria secondo protocollo Covid. La Smirnova, dal canto suo, ha invece avvicinato la mano per poi ritrarla vedendo che l’avversaria non ricambiava la stretta, restando con l’arma in linea per l’incrocio delle lame. La sciabolatrice russa, rendendosi conto della situazione, invece di rimanere imbambolata in pedana attendendo la stretta di mano della sua avversaria avrebbe dovuto ricambiare l’incrocio delle lame, previsto da un protocollo Covid che è ancora in vigore per limitare i contatti. Regolamento alla mano, la condotta antisportiva nel non ricambiare la stretta di mano o non tributare il saluto ad avversario, arbitro e pubblico è sanzionato con il cartellino nero, la massima sanzione comminabile nella scherma, che equivale alla squalifica. In questo contesto però nessuna delle due sciabolatrici si è macchiata di condotta antisportiva: entrambe hanno fatto il saluto prima e dopo l’assalto ed entrambe hanno cercato di tributare l’avversaria in modo diverso.
In questo contesto, in cui due avversarie che mai si sarebbero dovute trovare faccia a faccia (ricordiamo che numerose federazioni sportive stanno evitando incontri tra atleti ucraini e russi, ma a quanto pare qualcuno ha preferito non mettere mano al tabellone per evitare uno scontro diretto tra le due sciabolatrici), le possibili interpretazioni erano due: o l’applicazione del protocollo covid, con conseguente squalifica della sciabolatrice russa che non ha ricambiato il saluto alla sua avversaria, oppure l’applicazione del regolamento alla lettera che però avrebbe dovuto prevedere l’esclusione di entrambe dal torneo. Va aggiunto, come aggravante, che la Smirnova è rimasta in pedana per protestare quando l’arbitro, che ha il potere assoluto negli assalti, aveva detto alla Kharlan che poteva staccarsi dal rullo e scendere dalla pedana vedendo che l’avversaria non ricambiava il saluto.
La commissione FIE, riunitasi, ha dunque scelto a posteriori di applicare il regolamento alla lettera squalificando la sola sciabolatrice ucraina che, sì, non ha voluto stringere la mano all’avversaria, ma si è appellata a un protocollo Covid che è ancora in vigore e che la tutelava almeno in parte, con tanto di approvazione dell’arbitro che ha notificato l’avanzamento della Kharlan al tabellone successivo. Se proprio bisognava squalificare qualcuno, il nero andava dato alla Smirnova che non ha ricambiato il saluto e ha contestato l’arbitro bloccando il programma della pedana per 45 minuti o, al limite, a entrambe le sciabolatrici per una condotta antisportiva che in realtà non c’è stata. Quando poi si dice che la toppa e peggio del buco, la FIE ha “sospeso” (si legge così nelle notizie che ci giungono) la pena per Olha Kharlan consentendole di prendere parte alla gara a squadre. La Federazione Internazionale ha riconosciuto la buona fede dell’atleta che, da protocollo covid, ha deciso di porgere la lama all’avversaria in segno di saluto. Ma allora il cartellino nero che senso ha se c’era la buona fede? Ma soprattutto, così si va a invalidare una gara che avrebbe potuto avere esiti differenti. L’unica certezza è che, con queste decisioni, la FIE si è coperta di ridicolo perdendo anche quell’ultimo briciolo di credibilità che le era rimasto. Dei Mondiali di Milano non ricorderemo nulla, se non questo brutto episodio che ha indelebilmente macchiato la purezza di questo meraviglioso sport.