Una vita a seguire il calcio, il rock sempre in testa, una Harley-Davidson in garage. Quando Vera Spadini è entrata nel paddock della MotoGP più di qualcuno ha alzato un sopracciglio. Ora sono passati sei anni, che nelle corse - come per gli animali - si misurano diversamente, nello specifico in un centinaio di Gran Premi in diretta. Vera Spadini ha raccontato l’era d’oro di Marc Marquez, la pandemia, il ritiro di Valentino Rossi, la Ducati e i nuovi fenomeni come Fabio Quartararo, Pecco Bagnaia e Joan Mir. Di quest’ultimo ha vissuto il primo mondiale vinto in Moto3 e l’ultimo in MotoGP. Adesso, durante gli approfondimenti, è lei a dare l’imboccata: “Maverick Vinales può fare bene ad Assen”, ha ipotizzato quattro giorni prima che lo spagnolo salisse sul podio per la prima volta in carriera con l’Aprilia. L’abbiamo intervistata per farci raccontare (quasi) tutto. Lei risponde tra un concerto e l’altro, al punto che finiamo a parlare dei Rolling Stones, dei Maneskin e di un libro ucronico su Kurt Cobain.
Sei anni in MotoGP sono molti, come li hai vissuti?
“Vorrei dire che mi hanno migliorata perché spero sia così. Poi non lo so, magari dall’esterno uno può dire il contrario, ma è stata un’esperienza meravigliosa che mi ha fatto conoscere tantissime persone. Alcune di loro so che le porterò con me tutta la vita. Lì, nel paddock, oltre al lavoro si crea un rapporto umano molto profondo, un valore aggiunto che mi rende felice di aver fatto questa esperienza. È un ambiente che più lo conosci e più ti appassiona: vivere da vicino certe dinamiche, anche il gesto sportivo… Quando lo vedi coi tuoi occhi è qualcosa di straordinario. Anche tutto il lavoro che c’è dietro ad ogni squadra ti insegna molto, lì ognuno è fondamentale”.
È la vita di paese in giro per il mondo?
“È come un paesone e ha tutte le sue dinamiche, una cosa che non succede in tanti altri sport. Io ho seguito il Milan prima e la nazionale poi, ma era diverso. Magari stavi a Milanello tutto il giorno e poi alle volte nemmeno si entrava. E l’evento era più statico: stadio, partita e casa. Non c’era questo senso di appartenenza”.
Andando un po’ oltre a quello che vogliono sentirsi dire i motociclisti, quanto è diversa la MotoGP rispetto al calcio?
“Il pilota e tutte le persone attorno a lui hanno un approccio molto easy, diretto. Prima di avvicinare un calciatore devi fare un giro spaventoso tra manager, sponsor e responsabili vari. Poi magari hai i tuoi contatti e fai un po’ prima, nelle moto però l'approccio è tutt'altra cosa. Questa diniamica, alla fine, si riflette anche nel modo di raccontare, che diventa più divertente e spontaneo”.
A proposito: hai qualche bell’aneddoto sul team di lavoro di Sky?
“Noi - me lo dico da sola, pensa te - siamo un gruppo di lavoro divertente, c’è molto feeling. Sanchini e Meda, che sono un team perfetto nella telecronaca, nel lavoro e anche nella vita perché sono molto amici, in realtà non potrebbero essere più diversi. Mauro è tutto preciso, guai se gli sporchi le scarpe… Meda invece è il caos. Molte cose buffe nascono da questa dinamica, una sera Antonio Boselli ha rovesciato il vino rosso sulla camicia bianca di Sanchini - addirittura due volte - e se lo spiego non rende, da morire dal ridere. Oppure quando ogni mattina saliamo in macchina e c’è il momento valigie… Sanchini fa il Tetris, perché deve essere tutto preciso”.
Come il Furio di Carlo Verdone?
“Si, lui! Invece Meda sbatte tutto dentro come gli capita. Poi però, se si sentono rumori durante il viaggio, Sanchini comincia a dire ‘vedi?’, ‘hai visto?’, ‘che ti avevo detto?’. Guido è un artista, ha un talento assoluto che secondo me si manifesta anche in queste cose. Se sa raccontare così bene le corse è anche perché è molto colto, legge tanto e si interessa. Ma non si sforza di farlo, è così anche quando parla normalmente con noi”.
Durante le dirette esci spesso dal ruolo di presentatrice finendo in quello dell’opinionista: si vede che ti piace, che capisci lo sport. E molte volte finisci per avere ragione. L’avevi messo in conto?
“Beh, mi fa piacere. Io sono molto secchiona, mi vado sempre a rivedere tutte le statistiche, studio tanto e a ogni sessione mi guardo i cronologici, faccio gli schemini… sono proprio secchia! E poi ascoltando e chiedendo ai piloti, così qualcosa rimane anche a me e provo un po’ a metterlo insieme”.
Dalla televisione arriva tanto, ma non tutto: ci sono dei piloti che ti lasciano addosso qualcosa in più quando ci parli?
“Certo, e devo partire da Vale. Dalla televisione capisci già che è speciale, che è Valentino Rossi. Ma incredibilmente, a conoscerlo di persona, è ancora più di quello che vedi. È piacevole, simpatico, fa morir dal ridere… sembra un tuo amico da sempre. A me ha colpito molto la capacità di far star bene tutti quelli che ha intorno e il fatto - nonostante tutto - di essere una persona semplicissima. Poi beh, ha una velocità di pensiero superiore alla norma che mi ha impressionato moltissimo”.
Vi manca?
“Eh si, perché dove sta illumina e senza di lui c’è un po’ meno luce. La sua grandezza però è stata anche lasciare un’eredità importantissima”.
Vero.
“Continuando, ti dico Dovi: sembra chiuso e riservato - e un po’ lo è - ma quando ci parli capisci che è una persona molto profonda, ogni volta ti lascia qualcosa. Ha una lucidità impressionante, quindi quando parli con lui finisci sempre per dargli ragione. Poi anche lui è molto simpatico. Un altro sui generis è Franco Morbidelli: si interessa ad un sacco di cose che non c’entrano niente con la MotoGP e questo lo rende una persona assolutamente affascinante. Una volta, finita l’intervista, mi ha detto che si era messo a studiare astronomia… ah però!”.
Tu hai una pagina di fan molto attiva (@veraspadinifans, su Instagram): come la vivi?
“Allora, vivo tutto con molto imbarazzo perché fondamentalmente sono una persona timida. Chiaramente mi fa davvero molto piacere e li ringrazio di cuore, ma dico ‘addirittura?’. Ecco vedi, mi imbarazzo anche a parlarne! Però sui social molto spesso c’è tanta volgarità, invece mi fa piacere che nei commenti ci siano solo cose carine. Io cerco anche di essere abbastanza pulita nell’immagine, ad alcune persone a volte scappa un po’ la mano nel modo di porsi. Personalmente a stare un po’ nei limiti che secondo me andrebbero connessi alla nostra professione”.
Sogni mai un ambiente diverso dopo il calcio e le moto? Penso magari alla musica.
“Ah si, di certo se potessi fare qualcosa inerente alla musica sarebbe un sogno”.
Per esempio? Dai, il massimo.
“La cantante rock! Ah no, è troppo tardi (ride). Diciamo approfondimenti, trasmissioni dedicate alla musica…”
Andresti mai a Sanremo?
“Beh, si. Come fai a dire di no a Sanremo? Però secondo me è una cosa molto stressante, tutti aspettano una qualsiasi cosa per criticare, sollevare polemiche… c’è un po’ troppa ansia, no? Se se avessi una bacchetta magica sceglierei tutt’altra roba, penso a una trasmissione di musica in cui si vive un po’ l’atmosfera del concerto, i backstage... cose così, sul campo”.
Hai scritto un libro sul rock (Rewind: Le due vite di Kurt Cobain, ndr.) ne hai in programma altri?
“Uno ce l’ho in cantiere da anni, un romanzo completamente inventato - a differenza dell’altro - in cui ho messo insieme tantissimi aneddoti di vita reale addosso a personaggi inventati. Quello che ho scritto invece non è una biografia, è un romanzo ucronico, in cui immagino cosa sarebbe successo se Kurt Cobain non si fosse sparato. La prima parte è la ricostruzione - molto meticolosa, ti dirò - dei suoi ultimi giorni di vita. La seconda invece è di fantasia, però è tutta basata sui suoi diari. Ho cercato di realizzare i sogni che lui aveva consegnato ai suoi diari”.
Chi è pilota più rock n’ roll del paddock?
“Pecco (Bagnaia, ndr.) ascolta gli AC/DC e in generale molto rock, quindi dico lui”.
No, il più rock nel modo di fare!
“Ti direi Rossi…”
Non Vale!
“Beh, Rossi non Vale… ma che roba è! (ride). Allora dico Fabio Quartararo. Non è il prototipo del rock n’ roll, ma il rock alla fine cos’è? È la mancanza di fronzoli. Sono le cose pure, corrette, vere. Quartararo secondo me è questo. È gentile, educato, molto disponibile… ma allo stesso tempo si diverte e fa la sua vita, io questo lo trovo molto rock n’ roll”.
Giochiamo a ‘chi butti giù dalla torre’ e partiamo da loro due: AC/DC o Rolling Stones, chi salvi?
“Dai, mi tengo gli AC/DC. Chiedo scusa a Keith Richards che ho ascoltato a San Siro la settimana scorsa ma devo scegliere loro”.
Ok. Guns N’ Roses o Johnny Cash?
“Eh. Ti devo dire che salvo i Guns N' Roses perché è stato il mio primo gruppo. Sono andata a vederli a San Siro domenica dopo averli visti ad Assen qualche settimana fa. È vero che Axl Rose non è esattamente in forma, ma si va per affetto: è stato il mio primo concerto da ragazzina, ero piccola e ricordo che i gruppi di supporto erano Soundgarden e Faith No More. Da lì sono partita. Però Johnny Cash è un mostro sacro della musica, era una domanda cattiva”.
Non abbiamo ancora finito: Led Zeppelin o The Doors?
“Eh, cavolo. Facciamo che tengo i Led Zeppelin, il 14 vado a vedere Robert Plant. E martedì i Rammstein. Dopo due anni di astinenza ci voleva”.
Beatles o Nirvana?
“No, dai. Come si fa a chiedere una cosa del genere? Il libro per me è un pezzo di vita, però i Beatles sono la band migliore nella storia della musica. Mi tengo i Nirvana, con il cuore”.
Jimi Hendrix o Pearl Jam?
“Scelgo i Pearl Jam perché li ho visti dal vivo e mi hanno dato emozioni che pochi altri nella vita. Hendrix no, non l’ho mai visto, ma è il chitarrista per eccellenza”.
Il concerto più bello - a parte il primo - a cui sei mai stata?
“Paradossalmente ti dirò Metallica, poco prima del covid. All’ippodromo di San Siro. Io odio la pioggia, lì veniva giù a secchiate e nessuno si è mosso di un millimetro, nemmeno loro. Suonavano sotto l’acqua, tutti cantavano, ballavano. Quasi come se la passione per la musica fosse superiore a tutto il resto: non pioveva più, anche se eravamo tutti fradici”.
Che pensi dei Maneskin?
“Io all’epoca seguivo X-Factor per Sky, così ascoltavo un po’ tutto quello che passava. E già la prima volta che gli ho visti ho capito che avrebbero spaccato. Poi non hanno vinto la loro edizione arrivando secondi, ma si percepiva che avrebbero avuto un ottimo futuro. Damiano ha davvero una bella voce e il mood del cantante rock: è proprio nato per stare sul palco. Sono belli, bravi, la bassista ha un’immagine spettacolare e fanno canzoni carine, poi certo... al loro successo ha contribuito molto il fenomeno. Se ci fai caso adesso tutto diventa un fenomeno, alcuni artisti spaccano perché qualcuno ha deciso così e magari in tre mesi scompaiono. I Maneskin sono stati aiutati un po’ da questa costruzione della musica, ma se lo meritano. E spero che invoglino tanti ragazzi a prendere in mano gli strumenti invece di fare solo la musica da casa col computer”.