Prendi l’addio di Valentino Rossi alle corse e aggiungici una pandemia globale. Poi una guerra. Questa è la situazione su cui Dorna ha lavorato quest’anno, provando - non senza attirarsi delle critiche - a rilanciare la MotoGP il più in fretta possibile. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: il pubblico è tornato in circuito, nel caso del GP di Francia producendo un record di presenze che era rimasto intaccato dal 2015 (fatto registrare a Brno, in Repubblica Ceca) mentre in pista il dominio di Pecco Bagnaia sta rimettendo le cose in ordine: non c’è più un trono vacante, una situazione di stallo come nei primi anni dall’infortunio di Marc Marquez. Le gare le vince Bagnaia e gli altri provano ad impedirglielo, cosa che rende evidenti le forze in campo sia pensando alle imprese degli altri piloti quando riescono ad arrivargli davanti che allo stesso Bagnaia se è lui ad imporsi. Perché se hai vinto contro altri come te è un conto, se l’hai fatto contro un campione del mondo a cui non basta semplicemente arrivare davanti - perché lo fa partendo dalla pole position, dominando il sabato e con cinque secondi di vantaggio - il tuo lavoro ha un altro significato.
Così in tempi relativamente brevi Dorna ha “risolto” il problema del pubblico e trovato un’identità al campionato, che ora è nelle mani del numero uno e della sua Ducati. Resta, tuttavia, un'altra questione: le moto vanno troppo forte. Se fosse un tema esclusivamente tecnico probabilmente si risolverebbe in un’alzata di spalle, invece è una questione che riguarda anche sicurezza e, soprattutto, spettacolo.
Less is more
Moto che superano di slancio i 360 Km/h sono pericolose, richiedono vie di fuga più ampie e, manco a dirlo, gli unici che notano la differenza rispetto al passato sono i piloti, perché dalla televisione (ma anche dal vivo) quella velocità extra è difficile da apprezzare. C’è poi un discorso più legato alla tecnologia: ali, abbassatori e un’evoluzione così importante dei freni rendono gli spazi di manovra minimi, motivo per cui superare in uscita di curva è quasi impossibile. Le moto hanno tanta trazione, l’elettronica dosa al meglio la potenza e le ali tengono la ruota anteriore sempre piuttosto vicina all’asfalto. In frenata le cose sono comunque difficili: trovarsi in scia significa finire in un tunnel d’aria, prendere troppa velocità e rischiare di non fermarsi più, come è successo a Marco Bezzecchi a Silverstone. Non solo, perché con la nuova regola delle pressioni (che devono rimanere in un range prestabilito per tutta la gara) seguire troppo da vicino il pilota davanti significa alzare la temperatura della gomma anteriore con tutto ciò che ne consegue in termini di prestazioni e possibili penalità.
La risposta più sensata? Servono moto più lente. Più leggere anche, per agevolare i sorpassi. Così, in attesa del 2027 (quando si potrà introdurre un nuovo regolamento tecnico) l’associazione dei costruttori in MotoGP, la MSMA, sta valutando le possibili modifiche. Una su tutte una riduzione della cilindrata (com’era stato dieci anni fa) e perché no del frazionamento, che potrebbe passare dai quattro cilindri attuali ai tre cilindri attualmente impiegati in Moto2.
Tutto bene quindi? Non proprio, perché la MotoGP è la classe regina del motociclismo e così deve rimanere. La Moto2 non può andare più forte - ma non c'è rischio che lo faccia - così come non può andare più forte la Superbike, che attualmente paga poco più di un secondo al giro nelle piste in cui corrono entrambe le categorie. D’altronde che senso avrebbe costruire prototipi evoluti quanto costosi per poi vederli annichiliti da una moto in vendita dal concessionario? Nessuno.
Vinci la domenica, vendi il lunedì
La soluzione che piace di più nel paddock arriva dagli Stati Uniti, dove da qualche anno il campionato nazionale (Il MotoAmerica, lo stesso in cui ha corso Danilo Petrucci) si è arricchito della categoria King of the Baggers, dedicato a grosse tourer con tanto di valigie. Partita quasi come uno scherzo, un’idea foraggiata da bancali di birra e cattive intenzioni tutte americane, la serie ha rapidamente conquistato l’attenzione del pubblico, tanto che gli organizzatori si sono trovati costretti a spostare questa categoria in fondo alla programmazione di giornata perché il pubblico se ne andava finita quella, dunque prima di aver visto le Superbike.
Se è così probabilmente è perché la gente vuole veder fare cose dell’altro mondo alla moto che ha in garage, non a missili su ruote che ad oggi interessano soltanto una piccola nicchia del mercato. Il che rende più evidenti le imprese dei piloti, nonché più facile il tentativo di replicarle in una giornata in pista. Se in Europa le grosse bagger si vendono con la stessa difficoltà delle sportive, un mercato importante da noi c’è ed è quello delle nude di media cilindrata e delle crossover a metà tra turismo e fuoristrada. Ecco, prendiamo quelle per rifondare la Superbike. Una classe dedicata alle streetfighter che ormai quasi tutte le case hanno a listino, una per le medie e una ancora per le crossover. Mettiamoci sopra i piloti più veloci della terra e accomodiamoci sul divano. Non solo risolveremmo il problema di avere due campionati fin troppo simili tra loro, per altro entrambi gestiti dallo stesso organizzatore, avremmo anche uno show decisamente interessante da guardare. Si tornerebbe al “vinci la domenica e vendi il lunedì” che ha reso grande la Superbike degli anni Novanta, si abbatterebbero i costi e con tutte le probabilità le case avrebbero nuovi stimoli per partecipare al campionato.
Il pubblico avrebbe un nuovo spettacolo, le case una nuova vetrina. I piloti? Beh, ogni pilota che si rispetti sarebbe disposto a portare al limite anche un decespugliatore su ruote per dimostrarsi più veloce degli altri. Il mondo delle corse ha bisogno di un cambiamento e questa è un'occasione d'oro.