Sara, Elena, Federico. Sono centinaia, migliaia forse, i tifosi che hanno scelto i social per esprimere il proprio disappunto dopo il disastro organizzativo del weekend di Formula 1 a Monza. Un sogno, nell'anniversario dei 100 anni dell'autodromo, che per tantissimi si è rivelato un incubo. Se n'è parlato tanto, tra scuse e polemiche, mentre il tempio della velocità corre ai ripari per non rischiare di perdere il proprio posto nel richiestissimo calendario ufficiale della Formula 1.
Ma di tutte le testimonianze lette sui social tre ragazzi mi hanno scritto personalmente, spezzandomi un po' il cuore. Sara, Elena, Federico. Perché quando le cose le leggi, tra tweet e instagram stories, la percezione della delusione resta un'ombra lontana. Senti le testimonianze, le lamentele e la rabbia. Ma non senti il sapore pungente della delusione. Il sogno incrinato di chi ha atteso, ha rinunciato, ha risparmiato per mesi per potersi permettere un biglietto (tutti costosissimi, ricordiamolo) e si è poi ritrovato sopraffatto da una situazione non all'altezza delle aspettative.
Le code chilometriche per fare qualsiasi cosa, l'imbarazzo di ragazze costrette a trovare soluzioni alternative per poter andare in bagno senza dover aspettare per tre ore, l'impossibilità di bere, mangiare, ripararsi dal sole. Se queste testimonianze restano fotografie postate sui social di disagi e vergogne fanno arrabbiare, è vero. Ma se diventano le parole di chi dentro quei disagi ha maturato il disincanto nei confronti di una delle esperienze più belle, e divertenti, che lo sport possa regalare, allora la rabbia diventa dolore.
Da Sara che, nel suo primo anno in pista da giovane tifosa, mi scrive "probabilmente non ci andrò mai più", a Federico che arriva alla conclusione del "meglio risparmiare e guardare le gare sul divano", fino a Elena che a Monza, stremata e delusa ha addirittura pianto quando, il fratello più piccolo, ha cominciato a dire di voler tornare a casa perché aveva fame, faceva caldo ed era stanco di aspettare.
A Monza ho pianto tante volte, io. Ma mai di tristezza. Monza è sempre stata un sogno di fumogeni rossi e Frecce Tricolore, una giornata di attese e adrenalina, di code (sì, quelle ci sono a tutti i grandi eventi) passate con il sorriso sulle labbra, le birre in mano, i pronostici e la speranza. Monza mi ha insegnato quello che dentro di me già sapevo, guardando venti monoposto rincorrersi in cerchio per ore sul divano di casa: che la Formula 1 è un'esperienza totalizzante, da vivere insieme, da condividere e da raccontare.
Sentire di ragazzi giovanissimi, appassionati da pochi anni a questo sport, restare così delusi dalla loro prima esperienza in pista è qualcosa di ingiusto e pericoloso. Pericoloso per Monza sì, perché dopo le minacce di Domenicali i pessimi risultati in termini di gradimento del fine settimana italiano avranno sicuramente delle ripercussioni sul calendario, ma pericoloso soprattutto per chi la Formula 1 la ama. La "rinascita" di questo sport passa infatti attraverso la passione di ragazzi come Sara, Elena e Federico. Come le centinaia di persone che al posto di raccontare l'incredibile esperienza vissuta a Monza si sono ritrovati sui social a postare video di denuncia e racconti da incubo.
Leggere queste testimonianze è un dolore che passa dall'esperienza del passato, quella che questi ragazzi non hanno avuto e che forse non avranno mai. Una truffa al cuore di uno sport che è nato per essere vissuto dal vivo, respirando tutti gli odori della pista.
Sara, Elena, Federico e tutti gli altri giovani delusi, disillusi e disincantati: curate con la passione la vostra rabbia e non abbandonate la pista, per favore. Non lasciate che la Formula 1 per voi resti su Netflix, sui social o in televisione. E soprattutto non fatelo per colpa di un'esperienza deludente.
Perché il cuore della Formula 1 è dentro gli autodromi di tutto il mondo, sotto i podi tra applausi, vincitori e sconfitti. Sta lì, sta tutto lì il vero sapore di questo sport. E rinunciarci adesso, all'inizio di questo vostro viaggio dentro la Formula 1, è un errore che non dovete fare.