Valencia, in MotoGP, è bella perché profuma di inizio anche se è una fine, con l’ultima gara che arriva all’improvviso dopo nove mesi di corse, polemiche, attacchi, sorprese, soddisfazioni, spese. Arriva con l’ora solare, i primi freddi dell’autunno, cose così, che portano un po’ di tristezza. Quest’anno a Valencia se ne andrà la Suzuki, che quei nove mesi in giro per il globo li ha subiti come un conto alla rovescia: niente miracoli, niente film americano che finisce come vorresti, solo la realtà di un’azienda che ha deciso di smettere mentre le cose andavano bene. A chiudere le serrande ci sarà anche Livio Suppo, che ha accettato di prendere il posto lasciato da Davide Brivio - dopo un anno di vuoto - per fare qualcosa di diverso dopo quattro anni passati lontano dalla MotoGP. Prima del GP gli abbiamo scritto un messaggio: “Potremmo sentirci per fare due parole sull’ultima Suzuki e la prima Ducati?” Lui, come sempre, si è prestato per tutto il tempo necessario, parlando con una sincerità che non è poi così tipica dell’ambiente.
Ciao Livio! Con Valencia arriviamo alla fine di questa bella storia. Avete vinto la gara più bella della stagione, una settimana dopo aver portato Danilo Petrucci in MotoGP… Che amarezza però lasciare. Che anno è stato?
“Abbiamo avuto grandi alti e bassi. Sono partito con grandissimo entusiasmo, dopo quattro anni che non ero più in MotoGP l’ambiente mi ha accolto benissimo, il progetto era super interessante e c’erano molte cose da fare: non c’era un team satellite, avevamo l’idea di aprire una squadra in Moto2… Sono arrivato con un grandissimo entusiasmo che purtroppo è durato poco, un paio di mesi. Però devo dire che poi ho avuto un entusiasmo diverso, ossia cercare di inventarmi qualcosa per tenere in piedi il team, purtroppo anche questa cosa non sono riuscito a portarla a termine per una serie di motivi, ma ci può stare, era un progetto ambizioso. Gli ultimi mesi sono stati molto difficili perché serviva trovare la motivazione anche sapendo che tutto stava per finire. L’ho trovata cercando di dare una mano ai ragazzi a sistemarsi per il prossimo anno. È andata abbastanza bene, quasi tutti hanno trovato un posto. Dal punto di vista sportivo invece eravamo partiti molto bene, ma non saprò mai come sarebbe andata. La vittoria a Phillip Island è stata un toccasana perché ha dimostrato quello che continuavamo a dire: ci crediamo, ce la mettiamo tutta. Anche se un conto è dirlo e un altro è farlo davvero”.
È stato emozionante vedere in più occasioni che il lavoro del reparto corse è andato avanti, portando anche nuovi componenti come le ali per il codone.
“Beh, la decisione di smettere ovviamente non è arrivata dal reparto corse, loro sono stati i primi ad essere dispiaciuti per questa decisione. E più di tutti hanno cercato di cambiare le cose”.
Suzuki si ritira col miglior quattro cilindri in linea in MotoGP: fa un po’ sorridere se pensiamo alla situazione della Yamaha, no?
“Beh, fino all’anno scorso anche i nostri piloti si lamentavano della potenza del motore. Poi per carità, è anche una questione di filosofia aziendale. Ducati, mi ricordo bene, è stata pensata sin dall’inizio per andare forte sul dritto, perché sia Filippo Preziosi che Claudio Domenicali - che sono due persone molto intelligenti - sapevano benissimo che se hai una moto che ti permette di superare più facilmente hai un bel vantaggio. Poi certo, la maneggevolezza e la velocità in curva non sono da buttare via. In tanti anni di esperienza ho capito che un pilota con una moto veloce ti chiede agilità e viceversa, quando la moto è agile vuole i cavalli. Poi chiaramente l’ideale sarebbe una moto che curva come la Yamaha e va forte come la Ducati. Mi sa che loro, a forza di provare, sono riusciti ad avvicinarsi moltissimo a questo equilibrio e da qualche stagione la Desmosedici è la moto da battere, lo dimostrano i tre titoli costruttori che hanno vinto in fila. Bisogna anche dare merito a Gigi Dall’Igna e ai ragazzi di Ducati che hanno fatto questa moto”.
Pare che tu sia l’unico ad aver vinto in MotoGP con tre case diverse, che poi sono Ducati, Honda e Suzuki. Che effetto fa?
“Mi ha fatto piacere, in realtà io speravo di vincere il mondiale con la Suzuki (come con le altre due, ndr). Quando Sahara San mi ha chiesto di venire in Suzuki ci ho ragionato un po’ e poi mi sono detto ‘pensa che gusto riuscire a portare anche Suzuki a vincere un mondiale’, e quell’idea mi ha fatto maturare la scelta. È chiaro che nel mio ruolo non sei quello che fa la differenza, che è sempre il pilota, però qualcosa lo puoi fare. Era un bello stimolo, purtroppo potevamo vincerlo solo quest’anno ed è andata diversamente”.
C’è una possibilità di vederti nel paddock il prossimo anno?
“Quest’anno ne ho fatti 58… non sono più un ragazzino! Più passano gli anni e più le chances di vedermi in questa posizione diminuiscono”.
C’è un altro signore però, Carlo Pernat, che continua a girare per il paddock a 74 anni.
“Certo, ma un conto a 74 anni è fare quello che fa Carlo, un altro è fare il Team Principal. Però se mi capiterà di incontrare un pilota che possa essere interessato a collaborare con uno con la mia esperienza non vedo perché no, anzi è l’unico modo in cui mi vedo ancora in questo ambiente. Però dev’essere una cosa in cui crediamo entrambi, è un lavoro che riuscirei a fare se a pelle sento che si tratta di una persona con cui vale la pena di lavorare. Non lo farei per soldi… Che poi non vuol dire che non mi farei pagare! Però ecco, diciamo che non è la priorità. Ho la fortuna di aver messo in piedi assieme ai miei soci un’azienda di biciclette (la Thok, ndr) che va molto bene e quindi ad oggi continuerò ad occuparmi di quello, va bene così”.
Per quello che vale, anche il tuo ritorno in MotoGP con Suzuki è sembrato più una faccenda di passione che di denaro. È così?
“Certo, ho scelto di farlo soprattutto perché era molto stimolante. Poi sarei bugiardo a dire di averlo fatto gratis. Ma come mi ha insegnato una delle prime persone con cui ho lavorato, non bisogna regalare il proprio lavoro tranne che per una causa benefica, perché i lavori regalati non vengono apprezzati”.
Cambiamo argomento: come vedi i tuoi piloti il prossimo anno?
“Entrambi saranno su di una Honda ufficiale e penso che tra essere nel Team Repsol e in quello di Lucio cambierà poco, i loro problemi saranno due: Honda è in difficoltà - ma è sempre la Honda - e poi c’è un fenomeno che si chiama Marc Marquez. Da quando è nel mondiale nessuno con una Honda è riuscito ad arrivargli davanti. È un dato di fatto ed è così dal 2013, da quando è arrivato in MotoGP. L’ultima gara vinta da una Honda che non fosse la sua è stata nel 2017 con Dani Pedrosa, c’ero ancora io in Honda. Con tutto il rispetto e la stima che ho per Joan e Alex, che sono due piloti che ad inizio stagione avrei voluto rinnovare - e continuo a pensarla così - avranno un compito molto difficile. La moto deve crescere e avranno un compagno di squadra molto scomodo”.
Honda permettendo credi che Marc Marquez sarà da mondiale l’anno prossimo?
“Dipende da quanto crescerà la moto e da quanto starà bene, i punti interrogativi sono ancora due. Io credo che il Marquez di adesso è sicuramente il più in forma dai tempi dell’incidente, ma penso anche che nemmeno lui sappia se riuscirà a tornare in forma”.
Nel 2023 si correranno 42 gare, tra le tradizionali della domenica e le sprint del sabato, e sarà tosta per tutti. Forse per lui sarà ancora peggio?
“No, se sta bene sta bene. Il problema è capire quello”.
Chiudiamo: 15 anni fa, sempre a Valencia, con la Ducati c’eri tu a vivere una giornata storica.
“Il mondiale l’avevamo vinto in Giappone, così Valencia l’abbiamo vissuta come una gran festa, abbiamo organizzato un charter con tutti i dipendenti perché ormai era fatta: avevamo vinto il mondiale piloti a Motegi e quello dei costruttori a Phillip Island vincendo la gara, in più con Loris sul podio… è stato un tripudio, fin troppo no? Alla fine Valencia è stata vissuta come una gran festa. Quest’anno hanno molte possibilità di vincerlo ancora, però c’è comunque un po’ d’ansia perché finché non è finita non è finita”.
Ora Ducati è completamente cambiata.
“Sicuramente. Noi eravamo poco più che rookie, al quinto anno. Abbiamo vinto con un pilota al suo secondo anno in MotoGP e con delle gomme che i big avevano scartato. Gli unici ad aver dato credito a Bridgestone potendo avere le Michelin eravamo stati noi, eravamo dei veri outsider. Come dicevamo prima Ducati è da un po’ che ha la moto migliore e grazie al finale di stagione di Pecco sono partiti da grandi favoriti. È vero che il campione del mondo è Fabio Quartararo, ma il fatto che Ducati sia universalmente competitiva - lascerei stare il discorso delle otto moto in pista - li ha resi favoriti da subito. Hanno fatto un grandissimo lavoro, perché quando Gigi Dall'Igna è arrivato la situazione non era facile. Bisogna fare i complimenti a lui, a Claudio Domenicali che ha continuato ad investire e anche al Dovi, che è stato il primo ad arrivare in una situazione non facile. Negli anni hanno portato la Ducati dall’essere il brutto anatroccolo della MotoGP a una Cenerentola. Oggi sono ispirato, mi auguro che ce la facciano”.