Gli storici risorgimentali sostengono che non fosse stato per quel manipolo di volontari arditi, partiti dallo Scoglio di Quarto al seguito del generale Giuseppe Garibaldi nel maggio 1860, il processo verso l’unità avrebbe preso altre impreviste strade. Furono mille valorosi, proprio come noi ieri sera, i primi mille fortunati spettatori privilegiati allo Stadium per il debutto in campionato della Juventus di Andrea Pirlo.
Mai in questi mesi mi sono sentito così al sicuro: non al supermercato, al ristorante, al bar, neppure nelle poche cene tra amici. L’accesso all’impianto è perfetto e se doveva essere una prova generale è perfettamente riuscita. Gentilissimi steward misurano la temperatura, addirittura due volte, il biglietto passa dallo smartphone al tornello senza nessun contatto, vengo accompagnato al posto assegnato in tribuna e le facce sono quelle di sempre, solo distanziate di uno o due sedili. Non si sa bene come salutarci, se con un cenno, se darsi di gomito o persino stringerci la mano come tra persone civili. Peraltro, a noi torinesi che non ci si debba abbracciare cambia davvero poco, siamo freddi, gelidi, un sorriso è più che sufficiente, meglio se falso (e cortese).
In effetti i mille fortunati, tutti accomodati in tribuna ovest, avrebbero potuto sforzarsi di sostenere un po’ di più la squadra, non dico con calore che forse sembrerebbe inopportuno data la situazione, ma almeno con quella felicità derivata dal fatto che ieri, comunque, si festeggiava la liberazione - il 25 aprile degli juventini - dall’uomo in tuta che è stato mandato a casa e che non tornerà mai più. Se immagino la stessa situazione a Napoli e Roma, forse persino a Milano, con una squadra all’inseguimento del decimo titolo consecutivo e dopo il trauma del distacco dagli spalti durato sei mesi, i mille tifosi sarebbero riusciti a portare striscioni e tamburi, altroché timidi coretti, uno per tempo, o poco più. Ma noi torinesi siamo fatti così, francamente antipatici o antiempatici, inutile neppure discutere.
Premessa a parte, è stato bellissimo tornare al campo, qualcosa che somiglia al ritorno alla vita, che spero sia rapido perché togliere il pubblico allo sport significa penalizzare lo spettacolo, provocare un danno economico sempre più grave, e quel che è peggio mortificare buona parte della popolazione, non solo italiana, che secondo alcuni dovrebbe sentirsi stupida e ignorante perché mette il calcio prima della scuola, dei teatri, dei musei, della cultura, e questa è davvero una stronzata perché ormai è tutto aperto, l’estate era pieno di gente in giro, le lezioni bene o male sono riprese e invece il calcio per via del diffondersi incontrollato del peggior moralismo dovrebbe aspettare ancora, e la sicurezza non c’entra nulla. D’altra parte una delle perle di questo governo è un ministro dello sport che non ama lo sport.
Ieri sera comunque ho visto una Juve divertente e compatta attorno al proprio allenatore che alcuni commentatori hanno già deciso si brucerà per inesperienza e intanto ha ricostruito il feeling con la squadra che il Tuta aveva massacrato scientemente. Non racconterò la partita e il 3-0, salvo dire che il Pirlo in campo è Leonardo Bonucci e che CR7 per la prima volta ha segnato alla prima di campionato. Nello Stadium comunque vuoto le voci in campo si sentono benissimo. Intanto i calciatori parlano in italiano nonostante sia lingua di minoranza. Il Maestro, elegantissimo in panchina, non urla, non gesticola, osserva attentamente, parla con Igor Tudor sui movimenti della difesa (ieri quasi perfetti, se hai un settore critico dopo i disastri sarriani giusto affidarsi agli ex compagni Bonucci - Chiellini) e con Roberto Baronio, il vice, che si dà un gran da fare. D’altra parte un Maestro pensa, non c’è bisogno di fare scene o inscenare pantomime. Sull’altra panchina interessante osservare il body-language di Claudio Ranieri, che da signore qual’è ha ammesso che tre gol di scarto sono persino pochi. Spiegava ai suoi come mettersi, chi seguire, la mimica facciale dell’uomo di calcio con un’esperienza mostruosa, rassegnato dalla pochezza dei doriani, ma tant’è, tocca lavorare con ciò che si ha.
Intanto il calcio è ripartito e la mia esistenza piano piano riacquista un senso. Uno tra mille, ripeto mai così sicuro come ieri sera. Speriamo lo capiscano in fretta e riaprano le porte alla logica, oltre che allo spettacolo.