Big Luciano è il Darth Vader del calcio italiano. Tanto odiato, quanto rispettato. Ancora oggi, dopo Calciopoli e la squalifica federale con cui gli è stata preclusa la permanenza in qualsiasi rango o categoria della Figc. Ma quando si parla di calcio ci sono poche persone che possono vantare l’esperienza di Luciano Moggi. E nonostante tutto, dietro le quinte, la sua influenza si fa ancora sentire. Lo dimostra il fatto che quando lo chiamiamo per chiedergli un commento sull’inizio del campionato il secondo cellulare gli squilli in continuazione. Consigli di qua, consulenze di là, dritte su quel giocatore, come muoversi per rilanciare la squadra o semplicemente su quale allenatore sia migliore. E risponde a tutti con cortesia – come a noi che lo abbiamo interrogato sui temi di strettissima attualità – e i suoi giudizi sono una sentenza. Sarri? “Non vestiva il bianconero” perché “se parli a Ronaldo senza aver mai vinto niente fai fatica”. Pirlo? “Una scommessa a metà, perché è stato un campione e ha carisma e i giocatori lo ascoltano. Però deve vincere”. Antonio Conte? “Le sconfitte non possono essere sempre degli altri”. Ibrahimovic? “Per me come un figlio. Quando gli ho comprato il primo paio di scarpe alla Juve…”. Su Messi “che non verrà mai in Italia” e il paragone con Maradona: “Non regge, Diego era un fuoriclasse e mi piange il cuore vederlo in quelle condizioni”. E alla fine su un suo ritorno nel mondo del calcio…
Andrea Pirlo è stata una scelta azzardata per la panchina della Juventus?
Non è una scelta azzardata, ma coraggiosa. Siamo di fronte a un soggetto che ha il carisma del campione del passato. Saprà parlare a Ronaldo e Dybala nella maniera più giusta e lo ascolteranno perché lo rispettano, visto che ha dato un qualcosa di importante al calcio. Si cambia rispetto a un allenatore, anche bravo per carità, ma che non vestiva bene l'abito della Juventus
Solo questione di stile?
Non aveva il carisma necessario per parlare con quei giocatori. Con un passato come quello di Sarri, se dialoghi con gente che ha vinto campionati del mondo, Champions e Palloni d’Oro hai difficoltà enormi a essere credibile. È questo il punto a favore di Pirlo.
È già una Juve vincente?
Si apre un periodo di transizione della Juve, con i vecchi che smettono e altri con un rendimento da valutare come Chiellini. È una scelta coraggiosa, però Pirlo è un uomo credibile da parte dei giocatori importanti bianconeri.
Che consiglio gli darebbe?
Non saprei, perché non conosco più l’ambiente, a parte quelli che ho portato io come Buffon e Chiellini. Dico solo che l’appeal di Pirlo sarà diverso nello spogliatoio, tutti lo stimano e potrà portare dei vantaggi. Il punto è sempre che porti risultati. Se vengono i risultati è credibile al 100%, sennò solo al 50%. Pirlo era tatticamente irreprensibile, capisce il calcio, di tempi di gioco, speriamo riesca a trasferire tutto questo alla squadra.
Su Conte invece lei è stato critico, in particolare sulle sue reazioni alle sconfitte.
Non sono critico sull’allenatore, ma sull’atteggiamento post partita. È un allenatore-motivatore tra i migliori al mondo. Basta guardare quello che ha fatto in passato, con la Nazionale quando ha battuto la Spagna che poi con un altro allenatore ci ha dato sei gol. È un uomo che sa motivare e allenare. L’unica critica che faccio ad Antonio è di tacere dopo le sconfitte. Perché le vittorie sono sue e le sconfitte no? A parte questo, tutte le squadre lo vorrebbero, ha fatto risultati ovunque. Nell’Inter il prossimo anno, essendo più nell’ambiente, vedrà anche errori che ha compiuto e saprà correggerli. È sempre stato molto critico. Me lo ricordo da giocatore, fra i primi e secondi tempi all’allenatore diceva cosa andava e cosa no. Quando un giocatore è così, vuol dire che ha già un futuro da allenatore.
Si è parlato anche molto di Ibrahimovic. Fu lei a portarlo in Italia alla Juve. Ma avrebbe puntato su di lui a 38 anni?
L’unico segno negativo che vedo sono i 38 anni, ma i suoi 38 anni non sono i 38 anni di un altro. Come carisma e impatto nell’immediato in una squadra che non conosceva ha fatto diversi gol e anche decisivi. Ma verso di lui io non sono imparziale, visto che lo considero come un figlio mio. L’ho cresciuto e lo metterei in tutte le squadre. Ha una forza fisica enorme. Quando si è presentato a me da ragazzino gli domandai: “Zlatan, hai portato le scarpe da gioco?”. E lui: “No”. Allora gli chiesi che numero potasse. “Il 47”. Se non fossi stato seduto sarei caduto a terra. Di solito chi colpisce bene la palla porta il 41-42, però lui ha un piede prensile che arpiona tutti i palloni. Avere Ibra in campo vuol dire dare coraggio a tutta la squadra, oltre a poter contare sulla qualità di gioco.
Sta seguendo la telenovela Messi?
Sì e andrà al Manchester City. Certamente non in Italia. Da noi nessuna squadra è in grado di supportare quella spesa. È diverso da Ronaldo che è un attaccante. Messi è anche centrocampista. Un disciplinatore del gioco di squadra e un goleador.
Il paragone con Maradona, che lei ha conosciuto bene ci sta?
Il confronto non tiene, è ancora impari. Ronaldo e Messi sono campioni, Maradona è un fuoriclasse. Proprio fuori categoria. Quando lo vedo in certe condizioni è spiacevole che non stia bene. È un ragazzo d’oro, l’ho avuto a Napoli e ha una generosità incredibile verso gli altri, allora con i compagni di squadra che aiutava in ogni modo. I problemi che ha li conosciamo da tempo, e sono cose che spesso e volentieri impediscono di avere una vita tranquilla. Ma come giocatore non c’è neanche da discutere.
Ma è vero che lei tornerà nel mondo del calcio, anche solo da consulente, per il Lavello in serie D? Ha fatto discutere che l’allenatore è Karel Zeman, figlio di Zdenek, suo nemico giurato.
Ma no, quello lo scrivono i giornali. Si svegliano e avendo dormito male i giornalisti sparano certe cose. Al Lavello sono amici miei e se hanno bisogno mi chiamano e gli rispondo, così come tante altre persone. Un conto è dare un consiglio, un altro lavorare.