Sarà Luca Marini a prendere il posto di Marc Marquez nel Team Repsol Honda. Questa, almeno, è l’ultima fase di una lunghissima trattativa tra Alberto Puig e il resto del paddock. Luca andrebbe a lavorare a fianco di Santi Hernandez, che oltre ad essere stato l’uomo di fiducia di Marquez dai tempi della Moto2 ha lavorato (come tecnico delle sospensioni) anche con Valentino Rossi proprio ai tempi del Doc in HRC.
Per Marini si tratterebbe, a quanto pare, di un contratto di due anni, in modo da dare continuità al progetto di sviluppo con l’obiettivo di riportare Honda dove merita di stare. Così Team VR46 potrebbe finirci Fabio Di Giannantonio, anche se ci sono buone probabilità che quella Ducati vada nelle mani di Fermín Aldeguer (anche lui contattato da Honda per un biennale) mentre c’è chi si auspica un clamoroso passaggio di Tony Arborino in MotoGP proprio con la squadra pesarese.
Ma perché questa decisione di Marini? cosa sta succedendo tra lui e il resto della VR46? Luca ha smesso di allenarsi con gli altri ragazzi dell’Academy (ce lo aveva raccontato Marco Bezzecchi in Indonesia) e passare da una Ducati alla Honda potrebbe sembrare una mossa disperata per allontanarsi dalla struttura di Valentino Rossi. Eppure non è così, anzi: l’idea di Marini ha perfettamente senso ed è, a ben vedere, una prova di maturità e coraggio che in qualche modo lo discosta da buona parte degli altri piloti in MotoGP. Ecco perché.
Punto primo: per Marini questa sarà, probabilmente, l’unica possibilità di correre per un team ufficiale, che oltretutto è ancora il più vincente della storia del motociclismo. In Ducati per la squadra rossa c’è una fila chilometrica, in KTM hanno piloti in esubero. Aprilia punta ad altre mete e Yamaha non avrebbe di meglio da offrirgli, così Honda diventa in un attimo il miglior compromesso e l’unico modo di fare un passo in avanti rispetto alla situazione in cui si trova. In questo modo Marini avrebbe attorno a sé una struttura imponente, uno stuolo di ingegneri nel box e tutta la visibilità mediatica che un progetto come questo può esprimere. C’è, poi, un tema economico che per il numero dieci della MotoGP è sempre stato quantomeno importante: Luca ne parla nelle interviste, da quando diceva che lui al posto di Marquez la Honda con i suoi 12 milioni di euro a stagione non li avrebbe mai lasciati a quando, invece, raccontava che un sindacato piloti sarebbe fondamentale per garantire un salario minimo a tutti i piloti. HRC non gli darà lo stipendio di Marquéz (e probabilmente neanche quello di Mir) ma ci sono buone possibilità che vada a guadagnare una cifra di quattro o cinque volte superiore a quella che percepisce oggi.
Di punti ne abbiamo trattati due, l’opportunità e il denaro. Ad averlo convinto però c’è altro: Luca Marini ha la possibilità di diventare il pilota della rinascita per Honda, un po’ come Andrea Dovizioso lo è stato per la Ducati. Questa, per un pilota intelligente, è una motivazione enorme. C’è anche da aggiungere il fatto che una mossa del genere è una prova di maturità: dopo aver passato buona parte della carriera protetto dal team di famiglia (a cui comunque non ha mai fatto mancare i risultati) Marini ha la possibilità di andarsene e camminare esclusivamente sulle sue gambe. Sarà difficile come lo è sempre crescere, un po’ come andarsene di casa per entrare nel mondo degli adulti.
Ma torniamo indietro: cosa è successo tra lui e la VR46? Marini non ha smesso di allenarsi in pista con gli altri ragazzi dell’Academy, con cui passa dal Ranch di Tavullia alle giornate in kartodromo, ha semplicemente cambiato preparatore atletico. Dove Bagnaia, Bezzecchi e altri si affidano a Carlo Casabianca lui ha trovato un’altra strada, un allenamento tutto suo quando è il momento di entrare in palestra per rendere il proprio fisico il maestro perfetto di una motocicletta lanciata a 360 Km/h. Ha fatto lo stesso in termini manageriali, in modo da non creare una sorta di conflitto di interessi tra la squadra e la famiglia. Ed è giusto così.
In tutto questo c’è da riconoscergli un certo coraggio. Luca sa bene che il momento per fare questo salto è adesso, altre occasioni all’orizzonte non ce ne sono. La moto sarà difficile e gestire la pressione dei giapponesi non è quella che si respira a Tavullia, si tratta di una grossa sfida, un all - in. Una sfida umana, di intelletto. Una strada diversa da quella di tutto gli altri e per questo dura, anche se pronta a regalare scorci di bellezza inaspettati. Con le dovute proporzioni è un po’ quello che fece Valentino Rossi passando alla Yamaha, storia che il suo fratellino avrà cominciato a sentire quando era ancora un bambino, nello specifico un bambino con la tuta Repsol Honda e il cappello del fratello maggiore su cui era impresso quel marchio lì. Forse non andrà bene e magari se ne pentirà. Eppure fare il pilota, da sempre, è questo: prendersi dei rischi dove gli altri si fermano.