Accendo il telefono, sono le nove di mattina, lo accendo prima di alzarmi. Luca Salvadori è morto. In Germania, in gara, con la Ducati gialla, in Germania che è un non luogo, una formalità. Le nostre vite sono formalità, passi obbligati ed eventi in successione, aspettiamo sempre un poi che non è mai l'adesso. Luca era un mio amico. Gli volevo bene e un po’ me ne voleva anche lui. È stato sempre quello che non potrò essere mai: più bravo a comunicare, più veloce a correre, più capace a raccontare, più feroce con le ragazze. Luca era il migliore in quello che faceva, e non l’ho mai invidiato perché era tutto vero, tanto il talento quanto il lavoro per esserci, era lì per merito, per ambizione e per coraggio. Non l’ho mai invidiato, ammirato sì però, aspettando il suo prossimo miracolo, seduto a vedere dove avrebbe proiettato le cose della sua vita. Un giorno mi dice che lui si alza dal letto e accende subito il telefono per cercare qualcosa: notifiche, bonifici, messaggi. È la prima iniezione di dopamina che fai al tuo cervello, dice. Lo facevo anch’io, ma senza avere la lucidità di rendermene conto, senza ragionarci troppo. Aveva le palle di parlare di questo Luca, ma anche della depressione e di quei capelli lì che si era fatto attaccare senza nascondersi e parlando chiaro: se stai meglio tu, perché no? Lo abbiamo perculato un po’ tutti, eppure aveva il coraggio di convivere anche con le sue vanità. Con i mostri.
Luca non c’è più. La prima intervista su MOW gliel’ho fatta nel 2021: giovani noi, giovane lui, entrambi con lo stesso bisogno di scuotere il mondo immobile che girava in cerchio senza chiedersi nulla. Ci piacevamo perché Salvadori era, come noi di MOW, fuori dalla porta a bussare forte, cercando di tirarla giù. Dall’altro lato chi c’è sempre stato, chi vive lì. La porta oggi è giù, scardinata, rotta in terra. Siamo dentro noi, nelle corse e nell’editoria, era dentro lui, pilota veloce, vincente nei suoi campionati, il National che si stava portando a casa e il CIVS vinto in anticipo, l'amore per le corse su strada di uno che avrebbe potuto fare il mantenuto, il pilota di auto o solo il chiacchierone dalla scrivania come fanno in tanti. Si parlava di ragazze, con Luca. Del sindaco Sala, delle belle macchine. Di Marc Marquez che è un bastardo ma a cui non puoi che voler bene, di Pecco Bagnaia che la Ducati la guida come Dio in terra.
Negli anni abbiamo parlato di tutto, più volte. Moreno Pisto l’ha intervistato per la prima volta nel 2018 che MOW ancora non c’era. L’ha fatto ancora nel 2021 durante Eicma. L’ultima, lunghissima chiacchierata io e lui l’abbiamo fatta un anno fa. 52 versioni mi ha fatto elaborare, tra correzioni e puntualizzazioni e piccole modifiche. Cinquantadue versioni dello stesso articolo. Era snevante come sicuramente lo era coi suoi meccanici per avere tutto perfetto, tutto in ordine. Poi però uscivano delle bombe. Il pezzo si chiama Intervista definitiva a Luca Salvadori, la data di uscita è il 14 settembre 2023. È passato un anno esatto dall’intervista al suo ultimo giorno su questa terra, mi si gela il sangue.
Mi dico che non è giusto. Che deve continuare Luca, deve continuare a essere il mio esempio, un modello, uno che ce l’ha fatta come io non ce la farò mai. L’ultima volta che ci siamo visti è stato per il WDW 2024, sulla terrazza di Misano. Fai tutto giusto, fratello. Gli dico così. Mi racconta che l’obiettivo dell’anno prossimo è andare sull’isola, fare il TT, che mancano un bel po’ di soldi e che forse non ne vale la pena. Gli rispondo che deve farlo perché lui è diverso da tutti gli altri, perché è il suo destino e perché ha sempre fatto così, sette passi in avanti salutando tutti a ogni occasione.
Penso alle volte che ne abbiamo parlato, alle volte che l’ho spinto senza rendermi conto davvero cosa stesse rischiando. Mi chiedo se sia stato vittima del contenuto, obbligato dai risultati sportivi e di pubblico a dare qualcosa in più di quanto fosse giusto. No, non è così. È, lo so perché sono come lui, perché in questo ci siamo sempre riconosciuti, la vita e il lavoro come una cosa sola, una storia unita, due gambe per camminare, rischiando di risultare aridi, magari arrivisti o sbagliati, figli di una generazione che ha visto il vecchio millennio, vent’anni di Berlusconi, l’arrivo dell’Euro con le gare su Italia1 che ci dava anche i cartoni dopo la scuola e poi i motorini, la discoteca, i primi smartphone, la crisi economica.
Luca Salvadori è morto in gara come i più grandi, sarà eterno. Eppure sento freddo Luca, sento il grigio attorno. E non mi va più di scherzare, mando via i miei figli e scrivo, scrivo senza rileggere e senza fermarmi per non pensare davvero. Stamattina ci siamo svegliati alla fine del sogno.
Ciao, Luca.