Ora che non c’è più Spalletti andrà tutto bene? Neanche per sogno. La nazionale, dopo lo striminzito 2-0 alla Moldavia, galleggia in una mediocrità assoluta e nessuno la vuole allenare. Il presidente Gravina, probabilmente, per stuzzicare la pancia degli italiani del pallone, aveva provato a convincere l’uomo dei miracoli Claudio Ranieri. Questo uomo sono due anni che vuole passare il tempo con i nipoti ma non lo lasciano in pace. Prima ha dovuto salvare il Cagliari, poi rimettere sui binari una Roma allo sbando, ora gli chiedono di portare la nazionale ai mondiali. Anche no, la sua riposta dopo una notte di sogni turbolenti. La Maggica non si tradisce e la parola data alla famiglia Friedkin vale più di un contratto. Ranieri quindi resta dietro la scrivania giallorossa, il tempo del campo è finito.

A un passo dalla disperazione c’è stato quindi il tentativo con Stefano Pioli, tecnico di status, di ritorno con le tasche piene da una stagione così cosi in Arabia Saudita, ma già con un mezzo accordo con la Fiorentina. Risultato? Seconda porta in faccia a Gravina e un “no grazie” che mette la federazione calcio italiana con le spalle al muro.
C’è da trovare una soluzione in tempi brevi, perché il mondiale questa volta non si può fallire e ci sono da rimettere a posto i cocci dell’assurdo esonero di Spalletti. Ci sono già i nomi che circolano, il piano C degli Azzurri: Gennaro Gattuso, pare lui in pole, De Rossi e Cannavaro. Massimo rispetto per tre Campioni del Mondo, ma diciamo la verità, fino a oggi in panchina le loro carriere non possiamo considerarle esaltanti. Precipitare a questi livelli è da depressione totale.
Allora ci chiediamo perché si è voluto esonerare Spalletti. E’ vero che in Italia funziona così: perdi una partita e casa ci va l’allenatore. Che sia un club o la nazionale, è uguale. Ormai si segue l’ululato della gente. Chi vogliono che se ne vada? Il Commissario Tecnico. E allora via, si taglia chi è più in vista, meno protetto e sotto l’occhio del ciclone delle polemiche.

E stavolta è ancora peggio perché i modi sono stati indecenti, addirittura irrispettosi per un uomo che, nonostante i risultati non sempre positivi, come ha anche spiegato in conferenza stampa, non aveva intenzione di mollare. Spalletti si è presentato davanti ai giornalisti come un uomo distrutto. Ha parlato, spiegato e salutato l’incarico che aveva sognato tutta la vita. Prendendosi le sue colpe davanti a tutti.
Diciamolo: Spalletti è un uomo perbene, non sempre compreso nelle sue uscite talvolta ruvide, ma sempre attento al lavoro da fare e agli obiettivi che avrebbe voluto raggiungere con questo gruppo di ragazzi. Indubbiamente con la Nazionale ha fallito, ma averlo cacciato non porterà vantaggi al movimento calcio. Ora è evidente che è stato solo un modo per nascondere sotto il divano altri problemi. E sono tanti.
C’è un cortocircuito di sistema che facciamo finta di non vedere C’è da lavorare dal basso perché nei vivai si torni a insegnare calcio come si deve e si costruiscano i settori giovanili non per convenienza economica o perché il regolamento lo impone, ma per far crescere generazioni di bambini che possono avere la possibilità di diventare professionisti. Senza trucchi o mazzette da pagare.
C’è da lavorare anche dall’alto perché chi indossa la maglia della Nazionale torni ad amarla e ad esserne orgoglioso. Quando eravamo adolescenti noi, negli anni ’90, vedevamo grandissimi calciatori, super decorati e vincenti, che si emozionavano per una convocazione nell’Italia e in campo davano tutto fino all’ultima goccia di sudore. Oggi scendono in campo come fosse la partita del cuore della Nazionale Cantanti. Avete visto la differenza degli occhi e dell’aggressività in campo tra i nostri giocatori e quelli della Norvegia? Impressionante. Gli Azzurri sembravano con le infradito, in coda al gate dell’aeroporto, pronti per prendere il volo per Ibiza. Una passività imbarazzante. Ce lo ha ricordato anche Silvio Baldini nell’intervista dopo il suo successo con il Pescara.
Così non andiamo da nessuna parte, sarà dura anche raggiungere i mondiali per la terza volta consecutiva. Una follia, un disastro assoluto, figlio di una regressione culturale del pallone di casa nostra, fermo da anni su convinzioni da bar che non ci permettono di sviluppare calciatori e nemmeno una idea di calcio appassionante.
La mentalità è quella del risultato prima di tutto, anche se arriva in modo sporco o poco chiaro. Così si idealizza chi gioca in difesa e spera di trovare un rimpallo giusto per portare l’1-0 a casa. Questo accade qui nel nostro orticello, senza guardarsi intorno in Europa, dove tutto è cambiato. E dove si gioca per dominare l’avversario con il talento al centro di tutto. Se non prendiamo noi anche questa strada ci saranno altre umiliazioni come quella di Oslo. E’ il momento di cambiare molte cose, a partire dai vertici, perché mandare via Spalletti per accontentare il malcontento dell’opinionista medio di Facebook, non è servito a niente.
