Un messaggio, gentile ma secco: “Non me la sento”. Così Claudio Ranieri ha fatto saltare tutto, proprio quando sembrava ormai cosa fatta. La panchina della Nazionale doveva essere sua, lo staff era pronto, i Friedkin avevano dato l’ok, e persino le clausole di “non commistione” tra Roma e Azzurri erano state scritte. Invece no. Ranieri si sfila. E lo fa con una motivazione che pesa: ha deciso di restare dov’è. Al suo posto, in un ruolo defilato ma lontano dalla bufera permanente che oggi è la Nazionale. Perché, diciamolo: quella panchina oggi brucia. Nessuno la vuole. Non perché non sia prestigiosa, anzi, e da sempre il coronamento di un sogno di qualsiasi allenatore, ma perché è diventata il punto di non ritorno. Lì le probabilità di cadere sono altissime. E peggio ancora: ci si può marchiare per sempre. Oggi chi accetta il ruolo di ct rischia di passare alla storia non come l’uomo che ha ricostruito l’Italia del calcio, ma come “l’altro” allenatore, dopo Spalletti, che non è riuscito a portarci al Mondiale per la terza volta consecutiva.

È un peso che brucia le carriere, allontana i giovani, spaventa quelli che ancora sperano in un futuro da top club. E proprio per questo Ranieri sembrava la figura perfetta. Lui la carriera l’ha già scritta. Ha fatto miracoli, da Leicester a Cagliari, da Catania a Roma. Anche in questa stagione, a 72 anni, ha rimesso ordine nel caos giallorosso. Non aveva nulla da perdere. Eppure, ha detto no. Se persino lui si tira indietro, allora sì, abbiamo un problema. Serio. La Figc ora si ritrova nel vuoto. Dopo l’esonero choc di Spalletti e la disfatta di Oslo, ci si era aggrappati alla figura di Ranieri come ultima garanzia. E invece niente. Gravina, che aveva costruito con pazienza l’operazione, deve ripartire da capo. Il nome più caldo resta Stefano Pioli: ha voglia d’Italia, potrebbe lasciare Al-Nassr a luglio, ma anche la Fiorentina lo tenta. E comunque è la seconda scelta.

Dietro di lui Roberto Mancini, con un rientro che sarebbe grottesco dopo l’addio arabo, o i Campioni del 2006, Gattuso, Cannavaro, De Rossi, idee affascinanti da un punto di vista emotivo e sentimentale, ma senza un progetto concreto. E qui, per una volta, bisognerebbe evitare la solita caccia al colpevole. Non serve sparare su Gravina o sulla Federazione. Il punto non è “chi ha sbagliato”, ma “come ne usciamo”. L’obiettivo è uno solo: qualificarci per il Mondiale. E per farlo serve qualcuno che sappia prendere in mano una squadra disorientata e riportarla al centro della scena internazionale. La Nazionale italiana ha bisogno di tornare a essere una certezza, non un rischio di carriera. Ranieri, rifiutando con eleganza, ce lo ha appena ricordato. Ora tocca a chi resta decidere se il nome vale più del rischio e dell'eventuale riuscita.