Cammina con rigidità Aryna Sabalenka nel lungo tunnel che, dalla plancia del Centrale di Melbourne, scaraventa al centro dell’Arena intitolata a Rod Laver. Un corridoio tortuoso, asfissiante, scaldato e ricoperto da led dove le immagini di tutti i vincitori delle 112 edizioni dello Slam australiano ti fissano inquietanti come ritratti neoclassici sulle pareti di una escape room. Lei, con le cuffie in testa, guarda dritto di fronte a sé: già lo sa che in caso di terza vittoria consecutiva del Major eguaglierebbe Margaret Court, Steffi Graf, Martina Hingis e Monica Seles. Già lo sa che, uscendo da quel tunnel, avrà tutto da perdere. Sembra timorosa anche la tigre tatuata sull’avambraccio, di solito in bella mostra quando Aryna esulta verso il suo coach, che ha un identico esemplare timbrato sulla chierica.
Davanti a Sabalenka, con passo felpato, procede Madison Keys, che dà l’impressione di essere appena uscita da una doccia rinfrescante. Un sorriso spontaneo e dai contorni increduli quando all’annuncio del suo ingresso i ventimila dell’Arena rispondono con un boato. L’espressione contagiosa di chi vuole godersi qualcosa di magnifico: da otto anni non le succede di giocare una finale Slam e adesso, dopo essersi regalata un’altra occasione, forse l’ultima, vuole gustarsi ogni momento. Infatti, mentre Aryna gioca contratta e cede il break d’apertura, Madison inaugura il match con idee chiare e tanta pazienza. È chirurgica al servizio, dove archivia i suoi primi quattro game con il 93% di prime in campo, e non concede sbavature quando parte lo scambio: 6-3 a Sabalenka, in mezz’ora.
La serenità di fondo di Madison non viene scalfita nel secondo set, quando Aryna dopo un toilet break torna in campo che sembra davvero una tigre obbligata a reagire. Ruggisce sulla risposta della statunitense, che tira qualche seconda in più, e tiene a bada l’impeto gettandosi con meno frequenza a rete. Se lo scambio si allunga, un po’ come era successo contro Swiatek, calano le probabilità di Madison di portare a casa il punto. Eppure Keys accetta la rimonta dell’avversaria, le concede persino la palla dello 0-5, e sfrutta il momento di difficoltà per sciogliersi ulteriormente sul lato del rovescio, dove sul finire di un secondo set perso 2-6 lascia andare il braccio, realizzando un paio di vincenti degni di finire negli highlights della finale.
Quella calma interiore Madison non la smarrisce mai, nemmeno quando sembra prevalere la legge della più forte. Anzi, sul punto di crollare, Keys trova ulteriore tranquillità. Nel terzo set, sul quattro pari e servizio, affronta un pericoloso 15-30, che risolve ripescando lo schema più efficace dal repertorio: servizio a 170 orari in slice esterno, bordata di dritto lungolinea. Sabalenka prova quindi ad insistere sulla diagonale di rovescio, ma da quella parte Madison ormai è solida: non riesce solamente a giocarlo con profondità; se l’occasione è ghiotta tira il vincente. Sul 5-6 Aryna va a servire per restare nel match, ma non trova modo di sfondare e gioca un game tutto nervosismo e seconde palle. Al secondo match point, Madison Keys conquista il suo primo Slam in carriera con un dritto a sventaglio che è la firma perfetta della sua impresa.
Stringe le mani di Aryna, quelle del giudice di sedia, poi scoppia a piangere. Non ha più bisogno di nutrire la sua pazienza con quel sorriso autoironico, può lasciarsi andare. All’alba dei trent’anni, dopo un 2024 costellato dagli infortuni, ha fatto qualcosa che nel tennis femminile non si vedeva dal 2005: Serena Williams era stata l’ultima a vincere un torneo dopo aver battuto in successione la numero uno e la numero due del seeding. In meno di quarantott’ore, Madison Keys ha sottratto al destino la finale che tutti si aspettavano, ha bruciato le speranze di gloria di Swiatek e Sabalenka che – nel loro prime, come direbbero quelli bravi – stanno polarizzando il circuito WTA in una rivalità che al tennis femminile mancava da tempo.
Invece nella seconda settimana di Melbourne si è fatta avanti questa ragazza di Rock Island, nata al confine tra Iowa ed Illinois. Abituata ad arrivare da lontano, in silenzio, senza le luci dei riflettori addosso. Si è allenata accanto al team di Ben Shelton nel pre-stagione, quasi vergognandosi di dargli consigli per arredare la sua nuova casa perché “sono in là con l'età ormai, ho gusti diversi da quelli di un teenager”. Forse pensava di essere troppo anziana anche per vincere uno Slam, di aver già avuto la sua occasione d’oro. Di questo, però, non era ancora totalmente convinta: ha arredato il suo Australian Open con calma, una vittoria dopo l’altra, “vediamo cosa combino”. L’ha fatta bella, Madison Keys.