Io non sono io. Poteva essere questo, scomodando letteratura e psicologia, il titolo dell’ultima intervista pubblica rilasciata da Marc Marquez. Perché sulle pagine del The Guardian, l’otto volte campione del mondo spagnolo è tornato a parlare della sua forma fisica, dell’infortunio che ancora non fa parte del passato e di un futuro in cui, volente o no, dovrà imparare a fare i conti con un nuovo io. O, peggio ancora, a valutare persino la possibilità di non essere mai più Marc Marquez. “Così non mi diverto, adesso soffro e basta”. Parole che pesano come un macigno se isolate dal contesto, ma che nascondono un tentennamento interiore, un dubbio che si è insinuato nell’animo del pilota e sul quale si dovrà lavorare con la stessa costanza, la stessa determinazione e lo stesso impegno usati per rimettersi in sella dopo quel maledetto giorno a Jerez nel 2020. “Non mi accontenterò mai di arrivare in dodicesima o tredicesima posizione – aveva detto Marc Marquez qualche mese fa – se dovesse succedere appenderò il casco al chiodo, perché io voglio vincere”.
Lo ha ribadito anche in questi giorni, nella lunga intervista al TheGuardian, specificando, però, che sta facendo di tutto per fare in modo che non accada e arrivando anche a chiedere velatamente un aiuto alla Honda. “Con questa moto – ha proseguito Marc Marquez – in passato sarei riuscito a lottare per il mondiale. Certo, non avrei messo nel sacco un record di vittorie, ma sarei stato in grado di giocarmela ogni domenica. Adesso, però, io non sono quel Marc Marquez”. Se non è un appello agli ingegneri giapponesi per farsi mettere a disposizione una RC213V più gestibile poco ci manca. Perché la spalla fa male e anche in Austria, nell’ultimo gran premio disputato ed in cui ha lottato per il podio prima di finire a terra sotto la pioggia, Marc Marquez ha dovuto ricorrere ad una infiltrazione prima di scendere in pista. “Se penso a quando facevo fatica a sollevare un bicchiere – ha detto – è chiaro che adesso è molto meglio. Ma non sono ancora Marc Marquez. La soluzione migliore, forse, sarebbe quella di mollare tutto per un anno, magari anche due, ristabilirmi in pieno e poi tornare, visto che sono ancora giovane. Ma questo non è il mio stile, una decisione così non mi apparterrebbe. Preferisco esserci e soffrire, ma è ovvio che così non mi diverto, perché vincere è come una droga. E più vinci e più vuoi vincere”.
In quattro parole: un leone in gabbia. "È molto difficile accettare che tutti gli altri sono più veloci di te, ma devi capire dove sei, e dove stai andando – ha detto lo spagnolo mostrando un lato riflessivo e filosofico che ben poco si addice alla sua immagine di figlio dell’istinto – Però penso che avrei dovuto preoccuparmi se fossi stato l’ultimo dei piloti Honda, invece sono il primo e, quindi, razionalizzo e prendo coscienza che non sta andando poi così male. Nelle piste dove si soffre di meno fisicamente riesco a lottare con i primi: non è abbastanza, ma è qualcosa a cui aggrapparsi per andare avanti, stringere i denti e lavorare ancora di più e ancora meglio. La mia motivazione è maggiore di prima perché per la prima volta sto vivendo un momento molto difficile della mia carriera. Nei momenti difficili devi mostrare il tuo potenziale, nei momenti belli tutti sono felici, allegri e veloci, ma nei momenti difficili bisogna lottare”.