L’ultimo episodio ha avuto per protagonisti Dennis Foggia, suo babbo e il Team Leopard. La storia è semplice e il copione è già noto: il pilota è al centro di una trattativa di mercato, ma la squadra non è contenta anche perché c’è un contratto da rispettare e, dopo una discussione, decide di togliere il pass per il paddock al padre di Foggia. Una prima mossa, giusto per mettere le cose in chiaro. Classiche tensioni da “momento mercato” nel motomondiale e, ancora una volta, un babbo che finisce al centro di una discussione.
Di genitori ingombranti è piena la storia dello sport, ma nel motorismo il fenomeno è vistosamente accentuato, anche perché i primi, importanti, investimenti quando un bimbo si avvia alla carriera di pilota sono spesso frutto dei risparmi di una famiglia. Inevitabilmente, quindi, i padri finiscono per interessarsi in prima persona di tutti gli sviluppi della carriera dei figli, fino a diventare, talvolta, figure fin troppo presenti. Sia chiaro, non conosciamo nel dettaglio quanto accaduto tra Dennis Foggia e il Team Leopard e quindi il nostro non vuole essere un giudizio sul caso specifico. Non sappiamo, quindi non possiamo giudicare. Ma una valutazione generale possiamo farla, soprattutto perché “l’affaire Foggia” arriva al termine di una settimana burrascosa nel motomondiale che era cominciata proprio con una durissima presa di posizione di un padre a difesa del figlio.
Angel Vinales, come si ricorderà, aveva affidato a Twitter parole al veleno nei confronti di Yamaha, lasciando intendere che la moto spenta sulla griglia del GP di Stiria, due settimane fa, potesse non essere stato del tutto accidentale. Un attacco frontale a cui, poi, Yamaha ha inevitabilmente reagito, rendendo pubblico ciò che Vinales ha fatto negli ultimi giri di quello stesso GP e scegliendo di sospendere il pilota, come prima mossa verso un ormai più che probabile lincenziamento immediato. Ok essere vicini ai figli, ok accompagnarli verso un sogno. Ma siamo sicuri che, arrivati ad un certo punto, non è più opportuno lasciargli la mano? Jorge Lorenzo, ad esempio, è uno che ha sempre riconosciuto di dovere tantissimo a suo padre Chicho, che l’ha voluto pilota e che come pilota l’ha fatto crescere, ma ha anche sempre ammesso che se ad un certo punto della sua carriera non avesse smesso di ascoltarlo come si ascolta un oracolo, probabilmente, avrebbe vinto molto meno di quanto ha poi effettivamente fatto.
Ripetiamo: non è una valutazione sui padri di Vinales o Foggia, ma una riflessione su come anni fa chi voleva diventare un pilota cominciava a muovere i primi passi in moto molto spesso nascondendosi dai genitori. Senza averne il consenso. Mentre oggi ci sono padri che scelgono per i figli e, spesso, ne sopravvalutano il talento. O, ancora peggio, finiscono per demotivarli quando invece il talento ce l’hanno. Basta frequentare un qualsiasi circuito di minimoto nelle tappe di un qualsiasi campionato per vedere, a fianco a padri che stanno semplicemente giocando ad un gioco meraviglioso con i figli, padri che invece si comportano da manager, con super camper iper attrezzati, team sponsorizzato e manie da fenomeni affermati. Padri, insomma, che saranno pure mossi da buoni sentimenti, ma che finiscono per proiettare realtà che non si concretizzeranno mai e per mettere sulle spalle dei figli pesi che nessun bambino dovrebbe mai sopportare. Anche se sta solo correndo in moto. Forse sarebbe bene ricordarsi che personaggi come Graziano Rossi, Antonio Dovizioso, Giordano Capirossi, pur essendo stati fondamentali nella carriera dei figli, non sono mai appartenuti alla categoria dei babbi-manager.